Il paese di Oz è un luogo fantastico, dove le streghe buone combattono contro quelle cattive, dove si incontrano mostri con il busto di orso e la testa di tigre, dove un ruolo decisivo è affidato alla regina dei topi campagnoli e alle scimmie alate. Scritto nel 1900 da Frank Baum “Il mago di Oz” ha dato vita non solo a una collana di libri, ma anche a un film di grande successo interpretato da una splendida Judy Garland nel 1939.

Già all’inizio del ‘900 le vicende di Oz sono state interpretate come una variopinta allegoria della battaglia politica che aveva dominato l’America di fine Ottocento. Secondo alcuni, il nome Oz non sarebbe che l’abbreviazione di “Ounce of gold”, cioè “oncia d’oro”, uno dei maggiori oggetti del contendere perché allora, e ancora per lungo tempo, il sistema monetario era basato sulla convertibilità del dollaro in oro: ebbene proprio questo modello era fortemente criticato, perché non permettendo un’espansione della massa monetaria era considerato (a ragione, possiamo dire ora) come uno dei maggiori responsabili della stagnazione e della deflazione. 

Per queste ragioni appare particolarmente azzeccato il titolo “Il banchiere di Oz” (ed. Lindau, pag. 268, € 14,50) che Giacomo Brizielli ha scelto per il suo primo romanzo, in cui si raccontano le avventure di un giovane neolaureato di belle speranze e di grande spirito di iniziativa che si trova a vivere nel cuore del sistema finanziario negli anni frenetici che hanno preceduto la crisi. Molti indizi portano a ritenere che questo romanzo sia in gran parte autobiografico. Non solo l’età dell’autore, poco più che trentenne, non solo la comune origine genovese del protagonista del libro, ma soprattutto per la quasi esplicita confessione contenuta nella premessa: “Un tale turbine di mercati e bagordi, scontri e incontri, banche d’affari e case d’aste, amicizie e rivalità avanza il legittimo sospetto che solo una storia vera, o magari un racconto infarcito di dettagli per nulla inventati, possa spingersi là dove la finzione, per necessità di trama, non oserebbe mai inoltrarsi. Si lasci quindi la porta aperta a un’ipotesi per certi versi comica, per altri preoccupante: che l’autobiografia del giovane Sarti sia un affresco più vicino alla realtà di quanto alcuni episodi al limite del surreale non lascino trasparire”.

In effetti, c’è da augurarsi che di finzione ce ne sia molta perché certi episodi di vita quotidiana e alcuni incontri non sono appaiono piacevoli, ma resta il fatto che lo scenario in cui si svolgono queste vicende è tutt’altro che inventato. Soprattutto la dimensione opaca delle banche d’affari, la logica compulsiva che guida le scelte quotidiane degli operatori, il supremo cinismo che muove le strategie di investimento appaiono tutti elementi che compongono un quadro incredibilmente reale in cui il sistema finanziario appare perdere la ragione paradossalmente proprio nel momento in cui prendono il sopravvento gli algoritmi, i modelli matematici, i calcoli più sofisticati e le contrattazioni ad alta velocità.

Il romanzo di Brizielli non solo dipinge con efficace accuratezza i metodi e la vita quotidiana delle sale di trading, ma mette in luce a tinte forti il carattere antropologico dei protagonisti: dimostrando, in fondo, come il supremo peccato della finanza, l’aver trasformato il denaro in una dimensione fine a se stessa, possa condurre ogni persona a perdere di vista il proprio valore che non si può certo misurare con i parametri della moneta.