Nelle elezioni amministrative di inizio maggio la Lega Nord ha avuto un risultato apparentemente contraddittorio. Hanno indubbiamente inciso i riflessi delle polemiche sull’uso dei fondi pubblici ma ha avuto peso anche il vento favorevole derivante dall’essere la più importante forza di opposizione al Governo Monti e soprattutto dai buoni risultati ottenuti da molte amministrazioni locali. Anche per questo il fenomeno Lega sembra accentuare le proprie caratteristiche.
Il partito fondato da Umberto Bossi è sicuramente uno dei grandi fenomeni politici degli ultimi vent’anni e ha saputo esprimere uomini politici e di governo, in primo luogo Roberto Maroni, capaci di grande capacità pragmatica e di significativa efficienza politica.

Così come Flavio Tosi, riconfermato sindaco di Verona al primo turno. Ma nello stesso tempo la Lega è anche l’esempio più chiaro ed esplicito di come la “politica romana” e la partecipazione diretta al Governo del Paese siano riuscite a trasformare gli ideali originari della battaglia politica nella gestione ordinaria del sottogoverno, nell’occupazione metodica di seggiole e poltrone, nella conquista di posizioni di interessi e di potere nelle aziende pubbliche. Arrivando così ad annullare completamente gli obiettivi di partenza che erano fondati sull’antistatalismo, sulla lotta agli sprechi e agli enti inutili, sulla semplificazione, sullo smantellamento dei monopoli pubblici, sulla riduzione delle imposte.
Lo dimostra con grande efficacia e tempestività il libro “Dai cappi alle scope” di Andrea Giuricin, dove la parabola della Lega viene analizzata soprattutto in relazione alla grande distanza che si è creata tra le prime formulazione teoriche e programmatiche e la politica attuata dalla Lega nei lunghi anni in cui ha condiviso responsabilità di Governo.

La Lega delle autonomie, delle privatizzazioni, della lotta agli sprechi, del merito e dell’efficienza ha progressivamente lasciato il posto alla ricerca del consenso politico e alla rappresentazioni simboliche e spettacolari che non hanno contribuito per nulla a dare maggiore efficienza al Paese e migliore competitività all’economia. Le stesse terre dove la Lega ha fondato il proprio potere hanno visto inaridirsi i sentieri della crescita tanto che paradossalmente in pochi anni la provincia di Bucarest ha raggiunto e superato il reddito pro-capite del Nord Est.

Nella concretezza politica l’analisi di Giuricin si sofferma su due casi emblematici: la costante opposizione a una riforma importante come l’abolizione delle Province e l’incapacità a imporre una politica di sviluppo per uno degli asset strutturali più rilevanti per il Nord Italia come l’aeroporto della Malpensa (ai cui vertici siede peraltro un esponente leghista). L’abolizione delle Province, che avrebbe dovuto essere decisa negli anni Sessanta contestualmente all’avvio delle Regioni, potrebbe portare a un risparmio di almeno due miliardi l’anno affidando le attuali competenze alle Regioni o ai Comuni. Ma una riforma di questo tipo, che risponderebbe a una logica di risparmio finanziario oltre che di efficienza del sistema statale, porterebbe con se anche l’abolizione di posti di potere politico a cui, ovviamente, il partito è molto emozionato.

E se in questo caso la Lega ha difeso i propri interessi nella vicenda Malpensa non è riuscita nemmeno a questo: tanto che si è perfino dovuto attendere il Governo Monti per dare il via libera alla compagnia di Singapore che si offriva di collegare Milano con New York. Ma gli esempi non si fermano qua. E l’analisi impietosa di Giuricin non risparmia critiche alla gestione della politica, soprattutto economica, degli ultimi anni. E come scrive Leonardo Facco nella prefazione: “La “Lega di lotta e di governo”, messa sotto la lente dello studioso, si presenta per quello che è, ovvero un ossimoro, la più grande presa per i fondelli dell’Italia repubblicana”.