La grande crisi economica somiglia sempre di più a una piovra gigante con tanti tentacoli pronti a colpire e contro cui tutti i tradizionali sistemi appaiono inefficaci. Una piovra come quella che in Ventimila leghe sotto i mari, il grande romanzo di Jules Verne, attacca il Nautilus mettendo a dura prova le risorse e il coraggio del capitano Nemo. Il paragone tra la piovra e la crisi finanziaria mi è venuto spontaneo dialogando sui romanzi di Verne con il presidente dell’Abi (L’associazione delle banche italiane) Giuseppe Mussari nei giorni scorsi nell’ambito di una iniziativa di Radio 24 e del Piccolo teatro di Milano.
“Nell’oceano della finanza mondiale – mi ha risposto Mussari – di piovre giganti e di mostri marini ce ne sono tanti, sicuramente troppi. E tutti mossi da quella avidità che, in un contesto di assenza di regole, ha permesso di moltiplicare a dismisura sia gli strumenti finanziari pericolosi, sia i guadagni degli uomini della finanza (Italia esclusa, ovviamente)”. Mostri tuttavia che non si trovavano in natura: sono tutti opera dell’uomo, nascono tutti da una sostanziale complicità tra la politica e il mondo del denaro, interessati entrambi a sfruttare tutte le occasioni nel più breve tempo possibile per guadagnare consenso da una parte e soldi dall’altra.
È la logica delle bolle speculative, in particolare della bolla immobiliare americana spiegata molto bene nel libro “Capire la crisi” di Massimo Calvi (ed. Rubbettino, pagg. 134, € 8,50), un racconto semplice, ma approfondito, degli ultimi anni vissuti molto pericolosamente dal sistema economico.
È stato in pratica messo in piedi un sistema che ha trovato nella crescita degli strumenti finanziari e nella loro sempre maggiore opacità l’unica strada per garantirsi la sopravvivenza. Portando a compimento un’operazione spregiudicata quanto diabolica, cioè il far diventare con il salvataggio delle banche, un interesse pubblico, difeso con crescenti iniezioni di capitali, quello che era un interesse strettamente privato, cioè la difesa del posto e soprattutto delle altissime remunerazioni dei manager.
Il risultato è stato il progressivo annullamento di quel fattore fiducia che è fondamentale per lo sviluppo di ogni sistema economico e sociale. Si è passati in poco tempo dal denaro facile, a bassi tassi di interesse, soprattutto negli Stati Uniti con una politica monetaria drogata dalle scelte lassiste dell’amministrazione e della Banca centrale (la Fed), alla quasi completa chiusura dei rubinetti del credito. La recessione ha innescato una spirale perversa in cui quello che è peggio è che le medicine che vengono somministrate non fanno altro che aggravare la malattia.
L’effetto più pesante di questa crisi, sottolineato da Massimo Calvi, è quello di veder progressivamente compromesse le possibilità di realizzare nei fatti quell’economia sociale di mercato che permetterebbe di coniugare crescita e solidarietà, rispetto della persona e recupero del valore di un corretto rapporto tra interessi pubblici e iniziativa privata. “L’economia di mercato – scrive Calvi ricordando il Quattrocento e i francescani – nasce come esaltazione della libertà e della tensione verso il bene comune”: due elementi, la libertà e il bene comune, che hanno bisogno di regole giuste e di poteri pubblici capaci di farli rispettare, ma che vivono soprattutto di valori sensibili e di comportamenti coerenti. Solo così il mercato e il denaro possono tornare a essere strumenti creati dall’uomo per mettere a frutto le opere della natura.
Un cammino non facile dopo le troppe illusioni della finanza, un cammino che deve essere fatto anche di passi indietro, soprattutto da parte di coloro, politici e uomini della finanza, che hanno fatto le loro fortune sui castelli di carta moneta.
P.S.: La finanza e i banchieri italiani hanno molte meno colpe dei loro colleghi di oltreoceano tanto che nessuna banca italiana, tranne nei giorni scorsi Mps, ha dovuto chiedere aiuti di Stato. Non così i politici che negli ultimi 30 anni hanno lasciato esplodere il debito pubblico e negli anni della moneta unica europea hanno approfittato dei bassi tassi di interesse per proseguire nella politica della spesa invece di rispettare i patti europei e avviare una strategia di riduzione graduale del debito.