“L’Italia, dopo aver raggiunto la più completa insignificanza culturale, prosegue con determinazione la sua marcia verso il disastro economico, accompagnata dalla comica fanfara della farsa politica”. Potrebbe sembrare un epitaffio di una rivisitata antologia di Spoon River. E può sorprendere che un’affermazione di questo tipo si trovi alla conclusione di un libro il cui titolo è “Sì, l’Italia ce la può fare” (di Francesco Costantini, Ed. Metamorfosi, pagg. 218, €16). Ma leggendo tutte le pagine precedenti la scelta è tutt’altro che un ossimoro. Sia perché l’autore dichiara fin dalla copertina di essere un “ottimista scettico”, ma soprattutto perché c’è un chiaro filo logico nel racconto degli ultimi 80 anni, visti con gli occhiali di questo manager di multinazionali che ha concluso la sua carriera alcuni anni fa come presidente di Farmindustria, l’associazione imprenditoriale che riunisce le piccole e grandi industrie farmaceutiche.

E il filo logico è quello di una continua alternanza tra grandi successi e cocenti delusioni, tra importanti passi in avanti e ineguagliata capacità di farsi del male da soli. Negli anni 30 abbiamo saputo affrontare la crisi economica e porre le basi di un moderno stato sociale, ma poi si è caduti nell’infamia delle leggi razziali e della guerra; negli anni 50 e 60 si è affrontata con coraggio la strada della ricostruzione, ma poi ci si è persi nei gorghi del terrorismo e della corruzione; negli anni 90 ci si è illusi di una possibile rivoluzione liberale e ci si è impaludati nei gorghi dei contrasti, delle polemiche, delle divisioni.

“Perché gli italiani – spiega Costantini – sono fatti così, gli piace dividersi in due fazioni e combattersi sostenendo le proprie idee e ignorando quelle degli altri in un delirio di compiacimento quando vedono cadere la testa del nemico di turno. E tutto questo non per arrivare al potere e gestirlo nell’interesse della collettività, bensì per combattere contro chi è al potere e impedirgli di esercitarlo in un secondo delirio, quello che si alimenta del piacere della paralisi”.

Siamo arrivati a questo punto, siamo arrivati a domandarci veramente se “ce la possiamo fare”, per una politica miope e pasticciona, incapace di prendere atto dei problemi per avviarne la soluzione. L’unica stella polare è la ricerca di un consenso facile, immediato, spendibile per vincere le elezioni o almeno per impedire che l’avversario le vinca. Ma non c’è solo la politica. Costantini mette sul banco degli accusati anche la finanza “affogata nella propria autoreferenzialità”, la stampa che ha “trasformato il Paese in un salotto di pettegolezzi e maldicenze”, la magistratura “che in troppi casi ha divorziato dal comune sentire”, i talk show televisivi che hanno calpestato “le regole del civile confronto”, gli intellettuali, schierati pregiudizialmente a sinistra “e che per nessun motivo sono disposti ad accettare verità differenti da quelle che ci hanno propinato nel corso della loro vita”.

E allora perché l’Italia ce la può fare? Perché è ancora possibile superare la guerra civile delle parole e delle chiacchiere, perché si può costruire un federalismo ragionevole e sostenibile, perché la Costituzione può e deve essere adeguata, perché la divisione dei poteri può tornare a essere effettiva, perché si possono ricostruire finalità comuni per la vita pubblica e quella privata, perché la verità può e deve vincere sulla dissimulazione.

Il libro di Costantini inizia e si conclude con una frase di Pericle: “Crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia il frutto del valore”. Felicità, libertà e valori: parole che sarebbe il caso di riscoprire (e di praticare).