“L’imprenditore di successo italiano è più bravo di gran parte degli imprenditori del mondo. Perché? Perché per aver successo in Italia, Paese che, secondo Trasparency International, si trova al 69mo posto nella classifica della corruzione e al 42mo nella classifica della competitività, gli imprenditori italiani e le loro aziende non solo devono vincere su di una concorrenza che ormai è mondiale, ma devono prima vincere sui forti svantaggi determinati dalle circostanze politiche, interne e sociali del nostro Paese.” Parola di Markus Weishaupt, fondatore di Weismann e Cie, società di consulenza specializzata nella strategia delle imprese familiari e promotore del libro-inchiesta realizzato da Franco Marzo, “I-factor, il gene dell’imprenditore” (Ed. Franco Angeli, pagg. 176, € 21).
Un libro che costituisce una testimonianza preziosa sulla realtà dell’industria italiana al di là e al di fuori dei luoghi comuni e dei pregiudizi più diffusi. Perché nonostante le sirene dei profeti del post-industriale il nostro Paese continua a essere la seconda potenza industriale d’Europa con una capacità di crescere sui mercati esteri non solo nei settori tradizionali, ma anche in quelli dove tecnologia e innovazione giocano la parte più importante.
Ci sono molte parole d’ordine nelle esperienze dei 13 imprenditori raccolte da Franco Marzo. C’è l’innovazione, il saper cogliere le opportunità, il gusto per il bello e la qualità, la capacità di scegliere i collaboratori e delegare, la volontà di superare i momenti difficili, la visione come guida strategica, l’onestà e la correttezza come valori fondanti. Ma c’è soprattutto la dimensione personale, sia nella prospettiva dell’imprenditore, sia nel mettere al centro dell’impresa tutti i collaboratori, ognuno con la propria dignità e la propria responsabilità, ma anche con la consapevolezza di compiere ognuno un ruolo fondamentale.
Non è allora un’illusione parlare di impresa come comunità di persone, come luogo dove vengono valorizzate le potenzialità e le competenze di ciascuno. Come afferma Alberto Bombassei, presidente della Brembo, “nelle aziende più si cresce e più la distanza tra imprenditori e manager si assottiglia. Si è accorciata anche quella tra imprenditori e dipendenti. E spero per il sistema che si accorci sempre di più. Se va bene, va bene per tutti”. Tutto il contrario della logica del conflitto a tutti i costi, della contrapposizione continua, dei fronti contrapposti del vetero-sindacalismo.
La dimensione famigliare delle aziende italiane costituisce un punto di forza in questa prospettiva con rapporti di lavoro che trovano la loro motivazione ben al di là delle logiche strettamente economiche. È anche importante tuttavia permettere alle aziende di crescere perché solo aziende più grandi e più dinamiche possono affrontare la sfida essenziale della ricerca e dell’innovazione.
Il fattore I come imprenditore resta comunque l’elemento fondamentale. Forse un gene particolare non esiste, forse se esiste lo possono possedere tutti. Quello che è certo è che per motivi storici, culturali, sociali, questo gene in Italia esiste in misura maggiore rispetto agli altri paesi. E si può pensare che gli alti costi dell’energia, le complicazioni burocratiche, l’alto livello di tassazione siano solo elementi che il nostro Paese si ritrova perché altrimenti ci sarebbero troppi squilibri con il resto del mondo.