“Il mercato fin dove possibile, lo Stato dove necessario”. Uno slogan che ha avuto un momento di celebrità nei mesi scorsi, quando era facile, quasi scontato, imputare al mercato le colpe di una crisi economica tra le più gravi dell’era industriale. Il mercato messo sotto accusa per il liberalismo sfrenato che sarebbe stato la causa prima dell’esplosione della crisi finanziaria e poi della recessione con i gravissimi effetti sociali che stiamo ancora vedendo.

Difendere il mercato in queste condizioni potrebbe apparire al limite del temerario e ancora di più temerario cercare di dimostrare che quello che ha provocato la crisi non è stato il mercato, ma la sua mancanza, non sono state le forze dell’avidità (che pur ci sono), ma i ripetuti errori di chi quel mercato avrebbe voluto regolare. Questa impresa intrepida e sicuramente impopolare viene tentata, diciamolo subito, con un certo successo, da Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni, nel suo libro “L’intelligenza del denaro” (Marsilio editori), con l’intrigante sottotitolo: “Perché il mercato ha ragione anche quando ha torto”.

“I nostri scambi – afferma Mingardi – sono orientati dal sistema dei prezzi, perché i prezzi ci consegnano, sinteticamente, le informazioni di cui abbiamo bisogno. E` l’intelligenza (collettiva) del denaro: il mercato ci consente di fare economia della conoscenza. Non devo aver già assaggiato tutti i vini che sono nella carta di un ristorante per nutrire aspettative diverse su una bottiglia che costa 15 euro rispetto a una che ne costa 45”.

Mingardi affronta il problema alla radice. Il mercato non è una realtà che pensa, decide, muove le merci e i capitali. Il mercato è invece un luogo senza confini dove milioni di persone scambiano merci e i capitali secondo logiche che non possono essere decise in maniera efficiente dall’alto, un’efficienza che invece viene raggiunta se viene difesa la massima libertà. Ma come si concilia il fatto che il mercato è tanto più efficiente quanto più è libero con la necessità comunque di porre delle regole, dei limiti, delle garanzie perché da luogo dello scambio, in cui entrambi i protagonisti hanno da guadagnare, non si trasformi in luogo del sopruso dove vince la legge del più forte o magari del più furbo?

Nel libro di Mingardi è citata una famosa frase di Luigi Einaudi: “Tutti coloro che vanno alla fiera, sanno che questa non potrebbe avere luogo se, oltre ai banchi dei venditori, i quali vantano a gran voce la bontà della loro merce, e oltre la folla dei compratori che ammira la bella voce, ma prima vuole prendere in mano le scarpe per vedere se sono di cuoio o di cartone, non ci fosse qualcos’altro: il cappello a due punte della coppia dei carabinieri che si vede passare sulla piazza, la divisa della guardia municipale che fa tacere due che si sono presi a male parole, il palazzo del municipio, col segretario e il sindaco, la pretura e la conciliatura, il notaio che redige i contratti, l’avvocato a cui si ricorre quando si crede di essere a torto imbrogli in un contratto, il parroco, il quale ricorda i doveri del buon cristiano, doveri che non bisogna dimenticare nemmeno in fiera!”. In pratica ci vogliono regole per aiutare il mercato a funzionare, perché i patti vengano rispettati, perché ci siano garanzie per tutti.

Ecco quindi che le regole, le leggi, dovrebbero essere tali da garantire una maggiore libertà di tutti: così come la regola che impone di tenere la destra sulle strade non limita la libertà, ma al contrario consente a tutti di viaggiare per raggiungere il posto che ognuno desidera. “La stabilità dei possessi e la tutela degli scambi volontari (la libertà contrattuale) – scrive Mingardi – sono i due pilastri che garantiscono la libertà di scegliere e la libertà di farsi scegliere da parte delle persone. Non basta che queste due regole siano enunciate. Devono essere osservate: vuoi perché gli individui che compongono una certa società fanno mostra di comprenderle e accettarle, vuoi perché i carabinieri a bordo della piazza sembrano in grado, alla bisogna, di farsi valere”.

E qui torniamo all’inizio. Chi decide “il mercato fin dove possibile”, chi stabilisce “lo Stato quando necessario”? La storia ha dimostrato fin troppo bene che la libertà degli scambi, la possibilità di sviluppare le iniziative individuali, il premio all’efficienza generato dal confronto costituiscono elementi fondamentali per il benessere individuale e collettivo. Lasciando anche spazio e risorse a iniziative di volontariato e di promozione sociale secondo valori che non sono certamente solo quelli del profitto. Ma non ci può essere nessun burocrate che possa decidere per noi quali sono le cose che dobbiamo o possiamo pagare e quali invece quelle che non si possono pagare. Perché nel mercato trovano posto anche l’amicizia, l’amore, la solidarietà. E quei doveri “del buon cristiano” che lo stesso Einaudi considerava fondamentali per il buon funzionamento della società.