Tra gli elementi che sono emersi dal risultato elettorale non ci sono solo l’ingovernabilità, la crescita dell’antipolitica, la prevalenza del voto di protesta o la sconfitta dell’uno o dell’altro leader politico: c’è anche la sempre più evidente irrilevanza dei cattolici, sparsi in tutte le liste, ma ben lontani dall’essere un lievito capace di concentrare l’attenzione sui propri valori.

E’ probabilmente anche per questo che la politica ha perso mordente, ha fatto dimenticare di dover essere un luogo di servizio e non di privilegio, ha smarrito credibilità e affidabilità. La politica è messa sotto accusa eppure, quasi come in un paradosso, hanno grandi consensi i movimenti come quello di Beppe Grillo, che vedono la soluzione della crisi in un sempre maggior ruolo dello Stato in settori fondamentali come la sanità e l’istruzione.

E’ forse proprio in momenti come questi, in cui il dileggio si associa all’utopia come metodi di azione politica, che può valere la pena di riprendere in mano le radici della presenza politica dei cattolici e in particolare di due figure che in due secoli diversi hanno messo in primo piano i valori della libertà e dell’impegno sociale, Antonio Rosmini e Luigi Sturzo. Sono queste due personalità, questi due sacerdoti, che emergono con evidenza nell’imponente “Storia del liberalismo in Europa” a cura di Philippe Nemo e Jaen Petitot (ed. Rubbettino, pagg. 1256, € 56), un’opera frutto di un lungo seminario di ricerca svoltosi a Parigi nell’arco di quattro anni che ha riunito filosofi, economisti, ricercatori di otto Paesi europei. Non si tratta di una apologia del liberalismo, ma di una analisi storica a più voci nell’intento di riportare in primo piano il cammino difficile, ma ricco di spunti, delle idee liberali nel mondo occidentale.

Come scrivono Dario Antiseri ed Enzo di Nuoscio nella premessa all’edizione italiana: “La storia del liberalismo è la storia di innumerevoli rivoli che come tanti fiumi carsici hanno attraversato la storia dell’Occidente, riaffacciandosi saltuariamente sulla scena politica e intellettuale, costretti a superare sempre nuovi ed inediti ostacoli: rivoli che hanno progressivamente guadagnato terreno, viaggiando prima in una condizione di sostanziale clandestinità, quindi di prolungata marginalità, per poi confluire in quella corrente che inaugurò le stagioni liberali in molte nazioni europee negli ultimi due secoli, fino a diventare protagonista delle vicende politiche e della riflessione intellettuale nell’Europa che chiude in anticipo il secolo breve”.

Nel libro si compie quindi un affascinante viaggio nella storia della tradizione liberale (tradizione perché quello liberale è un pensiero che si forma per aggregazioni successive e che rifiuta i dogmi delle ideologie). Un viaggio in cui il pensiero e la cultura italiana hanno un grande spazio: da Vilfredo Pareto a Maffeo Pantaleoni, da Benedetto Croce a Bruno Leoni, ma anche, come detto, i cattolici Rosmini nell’Ottocento e Sturzo nel Novecento che possono essere considerati i profeti della società aperta, osteggiati nel proprio tempo, quanto a lungo dimenticati dopo la loro morte.

Le basi teologiche della libertà in Rosmini così come la loro traduzione nella concretezza politica da parte di Sturzo costituiscono dei richiami di forte attualità. Perché se l’intervento dello Stato è utile e necessario “quando – afferma Sturzo – l’iniziativa privata non possa da sé corrispondere adeguatamente alle esigenze pubbliche”, il pericolo dello statalismo è sempre in agguato, ma si dimostra una facile scorciatoia che alla lunga aggrava i problemi invece che risolverli.

Uno Stato che garantisce la crescita del reddito nella libertà e nel premio al merito e alla responsabilità può e deve assumersi anche l’onere degli interventi sociali per rimediare alle situazioni di maggior disagio e di emarginazione. Nessun liberismo sfrenato quindi, ma quella centralità della persona i cui valori muovono la società. Perché in fondo Sturzo, progressivamente emarginato dalla politica italiana, nei suoi richiami alla dimensione economica e sociale aveva prefigurato molti elementi che hanno composto quell’economia sociale di mercato che ha contrassegnato l’evoluzione del pensiero liberale oltre che l’economia tedesca nell’ultimo dopoguerra.