Anche il capitalismo non è più come quello di una volta. E così gli schemi tradizionali con cui si guarda all’economia italiana. La grande crisi ha sconvolto le tranquille ricette del passato; il soffio della globalizzazione si è infranto non solo sui territori, ma anche sulla fatica di lavorare delle persone; le vischiosità dell’economia devono fare i conti con le nuove dimensioni dei mercati. Ma non basta parlare, con una buona dose di retorica, di “nuovi modelli di sviluppo” oppure, come va di moda dire adesso, di “nuovi paradigmi della crescita”.



Ci sono infatti cambiamenti di struttura che stanno ridisegnando le possibilità operative delle imprese, che mettono in profonda crisi il sistema delle aziende famigliari. Ma se è vero che siamo di fronte a un grande cambiamento non è automaticamente vero che la crisi abbia solo aspetti negativi e che tutto vada letto secondo la logica del declino. Lo dimostra l’accattivante analisi di Aldo Bonomi nel suo ultimo libro, “Il capitalismo in-finito: indagine sui territori della crisi” (Ed. Einaudi, pagg. 208, 17 euro).



Bonomi, da navigato sociologo e da attento osservatore delle logiche del grande Nord, compie un viaggio nelle diverse dimensioni della crisi: innanzitutto nelle realtà territoriali, ma poi anche nelle relazioni sociali, nei comportamenti e nelle emozioni individuali, per arrivare a scandagliare la corteccia dei sentimenti e la difficile logica delle emozioni.

Ci sono in questa analisi tutti gli ingredienti delle difficoltà degli ultimi anni. Dal predominio illusorio della finanza alle difficoltà dei settori tradizionali, dalla mancanza di sostegni alle trasformazioni industriali alle problematiche legate alla formazione e alla valorizzazione dei giovani. “Nonostante le difficoltà – afferma Bonomi nell’ultima pagina del libro – sappiamo che piccoli imprenditori e lavoratori della conoscenza non subiscono passivamente la crisi: incrementano le competenze, intensificano la loro presenza sul mercato, imparano a cooperare. Qualcuno li aiuta? È la domanda che questo libro pone. Forse in alternativa al finanzcapitalismo – conclude Bonomi – la traccia da seguire sta proprio nella capacità della politica di far sì che la famosa parola chiave Economia, sappia tenere insieme le 3 T della new economy (Tecnologia, Talento, Tolleranza) con le 3 T della Terra come risorsa, del Territorio da ripensare e della Tenuta dell’ecosistema”.

Non è un caso che in queste parole chiave gli elementi economici si intreccino con quelli sociali e con quelli antropologici e non è un caso se la visione del territorio non è per nulla statica, ma è composta da equilibri successivi che devono tenere conto anche del fatto che il rispetto del mondo che ci circonda può diventare un elemento di forza nella crescita.

È in questa prospettiva che i nuovi problemi non possono che essere risolti attraverso nuove soluzioni. Soluzioni che sono tutt’altro che facili da individuare, ma che non rispondono alle tradizionali regole della domanda e dell’offerta e della competizione di prezzo in un mercato che ha sempre ragione. E allora si può tentare di leggere questa nuova dinamica con le lenti della “Caritas in veritate”, l’enciclica di Benedetto XVI che ha richiamato con forza la contaminazione dell’economia di mercato con la logica del dono, della cooperazione, della visione comune, della sostenibilità innanzitutto umana.

“Qualcuno li aiuta?” si chiede Bonomi guardando alle piccole imprese in mezzo al guado, osservando il dramma di migliaia di imprenditori che si scontrano con le difficoltà, analizzando le trasformazioni incompiute dei sistemi territoriali. “Qualcuno li aiuta?”. Una domanda che è anche un atto di accusa, ma che dimostra che resta forte la volontà di crescere, di cambiare, di affrontare la crisi.

E allora bisogna pensare che almeno una parte della soluzione sta nel riscoprire l’esigenza che anche l’economia riparta dalla persona e costruisca un sistema di valori in cui la solidarietà possa affiancarsi e integrarsi con una sana e coerente competizione.