Dopo sei anni di crisi, dopo milioni di parole e di analisi, dopo l’illusione che possano esserci soluzioni parziali per problemi globali è forse venuto il momento di tornare alla base e di riprendere in mano quelli che gli esperti chiamano “i fondamentali” dell’economia. Magari per scoprire che le strategie valide in momenti di crescita non possono funzionare quando c’è la depressione, per rendersi conto che cambiare le regole non serve quando il problema è nei comportamenti, per verificare come siano da mettere semplicemente in soffitta i processi messi a fuoco dagli economisti classici. Perché mentre migliaia di persone vivono il dramma della mancanza di lavoro, e mentre la dimensione strutturale della crisi è sempre più evidente, la politica sembra parlare d’altro alla perenne ricerca di un consenso sempre più appeso al filo del disinteresse e della rassegnazione.

E allora è necessario cambiare gli occhiali con cui si guarda la realtà, soprattutto per non continuare a guardare al breve periodo, ai movimenti giorno per giorno, senza vedere i grandi cambiamenti epocali di lungo periodo: non solo le variazioni dei vari indici statistici, ma soprattutto le grandi metamorfosi sul fronte dei valori civili e sociali. Lo scrive con chiarezza Luigino Bruni nelle conclusioni del libro “Economia con l’anima” (Ed. Emi, pagg. 260, euro 12) in cui ha raccolto come in un lungo racconto gli editoriali scritti negli ultimi mesi su Avvenire. Con un significativo filo conduttore: quello di cercare di ricostruire una visione dell’economia in cui la dimensione dell’umanità possa prendere il sopravvento sulle continue tentazioni di poggiare sul denaro da una parte e sulle regole dall’altra la soluzione dei problemi.

“Non capiremo mai – scrive Bruni – che cosa sta accadendo in Spagna senza guardare alla grave crisi morale e sociale che attraversa quel Paese da qualche decennio, un Paese cresciuto troppo e male, puntando su turismo e servizi e dimenticando (anche a causa di una politica europea non lungimirante) i settori primario e secondario, e cioè l’agricoltura e l’industria”. La Spagna, dove la disoccupazione giovanile è ai massimi livelli, è l’esempio più clamoroso di come l’affermazione dei diritti individuali abbia portato a una frantumazione sociale perseguendo un concetto astratto di modernità e di progresso.

Ecco allora l’esigenza di tornare ai valori su cui è naturalmente fondata la persona: l’esigenza di relazioni, della stabilità del rapporto familiare, della solidarietà praticata, della dimensione collettiva fondata sulla possibilità di far crescere un bene comune che non è fatto solo da tante ricchezze individuali. Un percorso questo che passa attraverso la fine delle ostilità tra i cittadini e l’economia e ancora di più tra i cittadini e lo Stato. Ma per far questo è necessario che lo Stato torni a basare la propria legittimità sulla partecipazione e l’economia torni a essere uno strumento al servizio delle scelte il più possibile libere delle persone e dei gruppi sociali.

“C’è un urgente bisogno – scrive Bruni – di investire in educazione economico-finanziaria perché l’unico modo per ridurre il peso e l’invadenza dell’economia e della finanza nelle nostre vite e magari governarle con la democrazia è conoscerle bene, o almeno meglio. Dovremmo inserire la conoscenza dell’economia e della finanza nelle scuole di ogni ordine e grado e trasformare quella esistente nelle facoltà di economia”.

Si potrebbe dire che l’economia è troppo importante per essere lasciata agli economisti, ma c’è qualcosa di più. C’è l’esigenza di ripensare in termini nuovi i rapporti sociali: perché solo attraverso un’equità condivisa, e guardando alla realtà in termini di doveri sociali più che di diritti individuali, si può recuperare la forza di crescere.