L’autunno è una stagione problematica per i conti pubblici. E, parafrasando Mark Twain, si potrebbe aggiungere che le altre stagioni problematiche sono l’inverno, la primavera e l’estate. Il fatto è che su questo fronte siamo ormai all’emergenza continua. Uscita per il rotto della cuffia dalla procedura di infrazione iniziata dalla Commissione europea, l’Italia si è ritrovata sempre di più nella morsa di entrate calanti e uscite crescenti con una dinamica che è un inevitabile frutto della recessione economica. Si produce e si guadagna di meno e cittadini e imprese pagano meno tasse, ma intanto aumentano gli impegni per la politica sociale, oltre che per gli adeguamenti automatici della spesa. E così l’impegno dei governi appare quello di tamponare le falle e anche le promesse più volte enunciate di riforma fiscale sembrano destinate a rimanere sulla carta.
Un’analisi approfondita è così quella realizzata da Alberto Zanardi, docente di Scienza delle finanze all’Università di Bologna, che ha curato il Rapporto 2013 “La finanza pubblica italiana” (Ed. Il Mulino, pagg. 260, € 26), che mette in luce con estrema chiarezza il circolo vizioso provocato dalla scarsa capacità di visione dei governi degli ultimi 25 anni. La ripresa economica è frenata dalla pressione e dalla complessità del Fisco, ma è la stessa crisi che sembra impedire quella riforma sostanziale che potrebbe dare ossigeno all’economia.
I problemi sono chiari. Spiega Zanardi: “Restano le criticità da tempo evidenziate che neppure il disegno di legge delega per la riforma del sistema fiscale, affossato dalla fine della legislatura, affrontava adeguatamente: l’elevato cuneo fiscale sul lavoro, la bassa performance dell’Iva, lo scarso coordinamento del sistema delle patrimoniali, la gravosità delle aliquote marginali effettive Irpef per i livelli bassi di reddito, il ridisegno dell’Irap”. Tutti problemi che, se affrontati, potrebbero offrire uno spazio alla crescita dei redditi per le categorie più deboli oltre a migliorare la competitività dei settori produttivi: due elementi essenziali per offrire almeno una piccola spinta alla ripresa. Ci sarebbe bisogno, per esempio, di una manovra seria per spostare la tassazione dai redditi ai consumi: per essere chiari un aumento dell’Iva sarebbe giustificabile solo se compensato da sgravi fiscali su lavoro e pensioni.
Ma c’è un altro punto particolarmente importante: quello della spesa degli enti locali (regioni in testa), la cui dinamica è stata una delle ragioni della forte crescita della spesa (e del deficit) negli ultimi decenni. Ebbene – commenta Zanardi – “a quasi quattro anni dalla legge delega sul federalismo fiscale il bilancio della riforma è francamente avvilente”. E non si tratta di cose da poco: sono in discussione il finanziamento delle regioni e dei comuni, così come il sistema degli incentivi per rafforzare l’efficienza, oltre che la trasparenza, degli enti territoriali. Il federalismo pasticciato e ambizioso ha preso il posto di quella che avrebbe potuto essere una sana logica di governo delle autonomie.
In questo modo le riforme appaiono sempre più difficili con governo e parlamento stretti nella morsa dell’emergenza finanziaria da una parte e nella strenua difesa di privilegi e interessi dall’altra. I conti pubblici avrebbero bisogno di una graduale, ma sapiente e lungimirante manovra di riequilibrio. Una strategia che sarebbe politicamente possibile oltre che economicamente necessaria. Ma che appare quasi un’utopia, dato che negli ultimi 25 anni si è andati nella direzione opposta.