Vista dall’Italia l’America, nel senso comune degli Stati Uniti, è qualcosa che mette insieme il miraggio, la speranza, il progresso, ma che offre anche le ragioni di un certo senso di superiorità se mettiamo a confronto la nostra cultura, le nostre tradizioni, magari anche la nostra capacità di mangiare e vivere bene. L’America ha creato le basi per la grande crisi economica e finanziaria che ha sconvolto negli ultimi anni i paesi industrializzati, ma è anche il Paese che ha saputo uscirne meglio con quel sano pragmatismo che da una parte permette i fallimenti, ma li considera un elemento quasi naturale della dinamica economica, e dall’altra non disdegna un intervento pubblico, anche massiccio, quando l’economia privata mostra la corda. Quelle che possono essere considerate contraddizioni, almeno nelle nostre visioni pigramente ideologiche, diventano elementi che possono aiutare a superare gli schemi in cui troppo spesso vengono ingabbiate l’analisi e l’indicazione delle prospettive dell’economia e della società italiana.
Un aiuto a uscire dalla decadente visione corrente dell’Italia ci viene da un libro di Marco Magnani, già dal titolo molto significativo “Sette anni di vacche sobrie” (Ed. Utet, pagg. 236, euro 14 o 7,99 in versione e.book). Marco Magnani è uno dei successori di Cristoforo Colombo, uno dei non pochi italiani che hanno scoperto di persona l’America. È infatti responsabile del progetto di ricerca “Italy 2020” alla Kennedy School of Government dell’Harvard University, dove è Senior Research Fellow in politica economica. Ha molti incarichi di consulenza a livello internazionale e dal 2010 Young Global Leader del World Economic Forum di Davos.
Ci sono tutte le premesse per un libro che offra non solo qualche “lezione americana”, peraltro sempre importante, ma soprattutto qualche ragionevole motivo di speranza sul futuro prossimo dell’Italia. Scritto con la collaborazione del giornalista Angelo Ciancarella, il libro costituisce, per dirlo all’americana, una “road map” per imboccare il sentiero di una crescita, magari non tumultuosa (ecco le “vacche sobrie”), ma capace di affrontare gradualmente anche i problemi qualitativi della società.
In apparenza gli ingredienti che Magnani suggerisce per guardare con ottimismo al 2020 appaiono quasi facili da applicare: l’aumento della mobilità sociale, la riscoperta dello sviluppo territoriale locale, il recupero della cultura d’impresa e della creatività imprenditoriale, il rilancio di innovazione e ricerca quale motore di crescita, la riscoperta della cultura come fonte di sviluppo. Leggendo queste pagine bisogna tuttavia evitare di correre il rischio di passare rapidamente dalla speranza alla delusione.
La speranza, quella che nasce dal riscoprire che ci sono tutte le condizioni perché l’Italia abbandoni la logica del declino. Ma anche la delusione, perché non si può dimenticare che da anni nella politica, come nell’economia, la logica delle relazioni ha sconfitto il riconoscimento del merito, la difesa delle garanzie ha soffocato le motivazioni individuali, la moltiplicazione delle burocrazie ha frenato lo sviluppo della creatività imprenditoriale.
Ma la mappa resta tuttavia chiara ed è significativo che venga riproposta con la determinazione di chi crede che un diverso sviluppo è possibile, grazie ai giovani, agli immigrati, a tutti coloro che non accettano di giocare solo in difesa. La fiducia è un elemento troppo importante per essere messo in secondo piano. E nelle “vacche sobrie” di Marco Magnani di fiducia ce n’è, per fortuna, ed è di ottima qualità: fondata sulla realtà delle cose e sulla capacità delle persone.