La madre dei catastrofisti è sempre incinta. Il fatto che qualche volta abbiano ragione non giustifica tuttavia una visione del mondo secondo cui il peggio deve comunque sempre arrivare. Certo, siamo di fronte a cambiamenti così rapidi e radicali come mai era avvenuto nella storia dell’umanità: la rivoluzione tecnologica soprattutto sta modificando non solo gli stili di vita, i modi di comunicare, le relazioni sociali, ma sta cambiando i sistemi di produzione, i metodi degli scambi, le tradizionali regole dell’economia. Con effetti indubbiamente positivi, per esempio sollevando sempre di più le persone dai lavori manuali e ripetitivi, ma anche con riflessi che possono essere pesanti sul mercato del lavoro e sull’occupazione.
Non solo internet, ma anche lo sviluppo dei robot, le biotecnologie, l’intelligenza artificiale sono elementi che offrono insieme rischi, da evitare, e opportunità, sapientemente da cogliere. Il problema è che i riflessi negativi sono evidenti e sicuri, mentre le opportunità sono tutte da scoprire, da coltivare, da sfruttare compiendo dei passi in avanti rispetto ai tradizionali metodi di relazioni sociali. Chiamando in causa quindi la politica e il sindacato, gli imprenditori e i giovani, gli uomini di cultura e la gente per bene.
C’è un solo modo per sconfiggere i catastrofisti, quello di dimostrare che è possibile non subire, ma valorizzare le novità tecnologiche, e ancor di più che il nuovo mondo di internet può essere l’occasione per riscoprire e praticare alcuni valori fondamentali come la condivisione, la solidarietà, la capacità di valorizzare la gratuità e i beni relazionali.
Un grande economista come John Maynard Keynes scrisse già negli anni 30, in piena crisi economica, che le nuove tecnologie stavano promuovendo la produttività e riducendo i costi dei beni e servizi a un ritmo senza precedenti causando una forte “disoccupazione tecnologica”. E a proposito di questa Keynes si affrettava ad aggiungere che ancorché dolorosa nel breve periodo, rappresentava a lungo termine un grande vantaggio perché significava che l’umanità “sta procedendo alla soluzione dei suoi problemi economici” e quindi “potremmo dedicare le restanti energie a scopi non economici”, a quelle che chiamava le “arti della vita”.
Proprio da questa visione, sicuramente un po’ utopistica, di Keynes, prende spunto l’ultimo libro di uno dei più acuti osservatori del futuro, Jeremy Rifkin. “La società a costo marginale ZERO” (ed. Mondadori, pagg. 498, 22 euro) costituisce infatti un’appassionata analisi di come possa essere superato un sistema capitalistico fondato sulla produzione e lo scambio di beni, sulla proprietà privata e sullo sfruttamento intensivo delle risorse naturali. La strada è quella dei “commons”, quella di un’economia condivisa che prende spunto da esperienze che trovano le loro radici nei secoli, ma che possono trovare inedite possibilità espressive proprio grazie alle nuove tecnologie, alle potenzialità delle relazioni virtuali, alla possibilità di produrre beni e servizi a costi sempre più bassi, come dice il titolo, tendenzialmente vicini a zero.
Rifkin cita alcune esperienze simboliche, come quelle dei patriziati in Svizzera, dove un patrimonio collettivo di boschi e pascoli viene messo a disposizione per un utilizzo individuale. Ma avrebbe potuto citare anche l’esperienza tutta italiana dei frati francescani che fondarono a metà del Quattrocento i primi Monti di Pietà, oppure le Società di mutuo soccorso, o le cooperative (quelle vere) in cui coincidono capitale e lavoro o anche le Casse rurali e le banche popolari fortemente legate al territorio.
La spinta della tecnologia sta ora facendo crescere le prospettive di quella che viene chiamata “sharing economy”, quell’economia della condivisione che alla sua base la possibilità di utilizzare un bene per il solo tempo per cui è necessario. Può essere una bicicletta, un’automobile, un appartamento: tramite il web si possono mettere in contatto i possibili utilizzatori e possono nascere nuovi business come dimostra il successo che sta avendo a Milano il car sharing o l’arrivo, pur tra molte polemiche, di un servizio di autisti (Uber) che si affianca ai taxi. Senza internet, senza la geolocalizzazione con il Gps, senza i metodi di pagamento elettronici queste esperienze non potrebbero semplicemente esistere.
Uno dei grandi pregi del libro di Rifkin è quello della concretezza. Le sue ipotesi si basano sulle possibilità reali e sulle esperienze più significative per tracciare un percorso in cui la spinta viene insieme dalle opportunità tecnologiche e dai valori umani. Con il pregio di cogliere il lato positivo dei cambiamenti in corso, cambiamenti che ampliano gli spazi di creatività e di iniziativa, ma anche di gratuità e solidarietà.
Vincendo la sfida con i catastrofisti senza colpo ferire, ma con grandi stimoli intellettuali.