La parola più pronunciata nei discorsi politici di questi ultimi mesi è stata “cambiamento”. Alla luce del cambiamento il partito di maggioranza ha clamorosamente conquistato il 40% dei voti alle ultime elezioni europee. Alla luce del cambiamento i partiti di opposizione (M5S, Lega e Forza Italia) hanno ottenuto quasi il 45% dei consensi. Alla luce del cambiamento, ovviamente accompagnato da solide riforme strutturali, ha preso il largo l’esperienza di Governo di Matteo Renzi con un esecutivo che, almeno anagraficamente, costituisce sicuramente una svolta rispetto ai precedenti.
Sullo sfondo resta comunque sorridente l’immagine del Gattopardo con quello slogan, “cambiare tutto perché tutto resti come prima”, che è stato per anni l’emblema di una classe politica che non passerà alla storia se non per i suoi personalismi e la sua inadeguatezza. E così l’Italia ha bisogno più che mai di cambiare. Cambiare le leggi, troppo complicate. Cambiare la Pubblica amministrazione, troppo impegnata a ostacolare il dinamismo sociale. Cambiare i comportamenti, troppo dettati dagli interessi personali. Cambiare le gerarchie, troppo legate alla rendite di posizione.
Tutte cose utili e necessarie. Ma messa in questi termini la logica del cambiamento appare non tanto ambiziosa, quanto temeraria, perché è un voler affrontare i problemi nuovi con vecchi strumenti e, soprattutto, un voler indicare innanzitutto che cosa devono fare gli altri e non come poter partecipare responsabilmente al cambiamento del Paese.
Anche se può apparire ancora più temeraria, c’è un’altra ipotesi, quella di cambiare l’Italia allargando la partecipazione, liberando le risorse dei giovani, estendendo l’uso intelligente della rete e delle tecnologie, sperimentando nuove formule di lavoro e di finanziamento. È la logica di fondo del libro di Alessandro Rimassa (già autore “Generazione mille euro”) nel nuovo libro “È facile cambiare l’Italia, se sai come farlo” (Ed. Hoepli, pagg. 152, euro 14,90). Un libro che esplora i territori nuovi che si sono aperti con le potenzialità tecnologiche, territori in cui i giovani hanno già trovato grandi spazi di creatività; un libro che costituisce un manifesto del cambiamento, un decalogo per muoversi tutti da protagonisti all’interno di una società che offre comunque nuove opportunità.
Con una pregevole accortezza: non si elogia il nuovo in contrapposizione col vecchio, ma si sottolinea come i nuovi strumenti possono e devono servire anche a rendere più forti valori tradizionali come il lavoro manuale, il “made in Italy”, lo spirito di gruppo e di collaborazione. Anche se spesso traspare tra le righe la tentazione di costruire nuovi idoli attorno al progresso e all’innovazione resta comunque una grande volontà di sfruttare positivamente tutto quello che ci offre la realtà. Con il passo in più di chi pensa che il proprio futuro non sia quello di inserirsi in una casella prefabbricata, ma ritiene di poter sfruttare fino in fondo la propria libertà.
Detto questo, non c’è nessuna bacchetta magica per risolvere i problemi di un Paese di privilegi diffusi e di garanzie formali com’è l’Italia. E non ci sono formule segrete per rispondere alla prima esigenza dei giovani che è quella di trovare un lavoro. Ma rendersi conto, come peraltro già largamente e drammaticamente avviene, che non si possa più contare sulla “pappa fatta”, è già fare un bagno nella realtà.