Il turismo in Italia forse non è in crisi, ma dà l’impressione di segnare il passo e comunque il confronto con gli altri paesi dimostra molto chiaramente come sia largamente al di sotto delle potenzialità la valorizzazione del patrimonio artistico, culturale e ambientale italiano. I dati sul business turistico mostrano una particolarità tanto interessante, quanto preoccupante. Da una parte, infatti, vi è un piccolo aumento della spesa da parte degli stranieri che vengono in Italia, ma la velocità di questa crescita è nettamente inferiore a quella degli italiani che vanno all’estero.

Nei primi quattro mesi di quest’anno, la spesa degli stranieri provenienti dall’Unione europea è infatti aumentata del 2,0% rispetto allo stesso periodo del 2013, mentre è cresciuta del 9,1% la spesa dei viaggiatori provenienti dai paesi extra Ue. Nello stesso periodo, la spesa dei viaggiatori italiani che si sono recati nei paesi Ue è aumentata del 4,0%, mentre è cresciuta del 14,1% per coloro che si sono recati nei paesi extra-Ue.

Nonostante la crisi gli italiani continuano a viaggiare, attratti anche dalle molteplici offerte low cost sia sul fronte dei trasporti, sia per le sistemazioni alberghiere; e il ritmo di crescita di quello che viene chiamato “outcoming” è grosso modo in linea con lo sviluppo del turismo a livello mondiale. Dove invece emergono i problemi è nell’attrattività del sistema Italia sia nelle aree tradizionali della vacanza, il mare e la montagna, sia e forse soprattutto in quella vastissima area dei beni culturali di cui il nostro Paese è particolarmente ricco. Non è un caso il fatto che l’Italia sia il Paese con il maggior numero (50) di siti tutelati dall’Unesco, un riconoscimento internazionale che tuttavia stenta a tramutarsi in un sostegno diretto o indiretto alla tutela innanzitutto, ma poi alla valorizzazione e allo sfruttamento intelligente.

Il dato di fatto è che l’Italia non riesce ormai da anni a inserirsi come dovrebbe nei grandi flussi turistici (e culturali). Come osserva Carlo Tosco nel libro “I beni culturali” (Ed. Il Mulino. Pagg. 190, € 17,50), “la domanda di cultura risulta in costante crescita a livello internazionale. Nell’intera Europa i visitatori annuali di musei hanno raggiunto la cifra vertiginosa di mezzo miliardo”. Ma in Italia, osserva ancora Tosco, “l’indice di partecipazione nazionale culturale è valutato all’8%, sensibilmente più basso rispetto alla media europea che raggiunge il 18% (con un punta del 43% della Svezia)”.

Di fronte a questa realtà le politiche si muovono con il passo del gambero. “Il bilancio del Mibact (Ministero dei beni artistici e culturali e del turismo) negli ultimi dieci anni – scrive ancora Tosco – è diminuito del 32,7% (…) con gli stanziamenti rapportati al bilancio dello Stato che sono passati da una quota dello 0,39% a un livello minimo dello 0,19%”. Il tutto mentre la Francia, la Germania non hanno fatto altro che aumentare gli investimenti in questo settore con effetti particolarmente visibili nella crescita dei flussi turistici.

Se a queste carenze della politica pubblica aggiungiamo gli incentivi ancora scarsi per gli investimenti privati e la limitazione delle risorse che, a causa della crisi, ha colpito soggetti particolarmente attivi in questo campo come le fondazioni di origine bancaria, abbiamo l’immagine di un Paese in cui le iniziative di valorizzazione restano una fortunata eccezione. È il caso per esempio della Fondazione per i Musei civici di Venezia, dove il patrimonio pubblico è gestito con una logica imprenditoriale con risultati positivi senza alcun ricorso ai finanziamenti statali: ma nel 2008 quando il Comune ha intrapreso questa strada il Sindaco si chiamava Massimo Cacciari, un politico positivamente anomalo per il suo sano pragmatismo e la solida visione culturale.

L’Italia resta comunque un Paese dalle mille realtà che a fatica riescono a muoversi nel labirinto delle regole e nella scarsità delle risorse. Per esempio, le iniziative del Fai (Fondo ambiente italiano), così come quelle del Touring club, che ha creato una rete di volontari per tenere aperti monumenti e musei, sono certamente encomiabili, ma andrebbero accompagnate da una politica che aiuti i cittadini a riconoscere i fondamentali della cultura e quindi a riconoscere nei monumenti, nelle chiese, nei paesaggi le testimonianze di una civiltà i cui valori possono essere la guida del nostro futuro. E il business del turismo sicuramente seguirà.