“La cosa più importante è sempre stata creare un’impresa che duri nel tempo e che sviluppi cultura e opportunità di lavoro, che sia un bene comune, per le persone, per il territorio, per il futuro”. Così Enrico Loccioni sintetizza la sua avventura imprenditoriale: nato nel 1968 come impresa di impiantistica industriale, il gruppo che porta il suo nome si è progressivamente sviluppato ed ora è una delle più importanti realtà nei settori dell’automazione, dei controlli di qualità, dell’efficienza energetica, della salvaguardia dell’ambiente, dell’innovazione in campo sanitario.
Un modello di azienda molto diverso, per tanti elementi, dalle aziende tradizionali, quelle per intenderci che realizzano prodotti fatti in serie in modo ripetitivo. Loccioni studia e realizza soluzioni tecnicamente avanzate e tecnologicamente innovative in quella che lui chiama una “sartoria tecnologica” dove lavorano 400 persone, per il 95% laureati o diplomati, con un’età media di 33 anni.
Ma la diversità positiva di Loccioni è nella visione complessiva dell’impresa, nella motivazione e partecipazione delle persone, nel rapporto aperto con il territorio, nella valorizzazione dell’ambiente, nella capacità di valorizzare ogni aspetto della vita quotidiana. Non a caso un libro che analizza il caso Loccioni ha per titolo 2 km di futuro (Ed. Il Sole 24 Ore, pagg. 120), un libro in cui Maria Ludovica e Riccardo Varvelli, tra i più noti consulenti e formatori, non solo intervistano Enrico Loccioni, ma mettono in luce passo dopo passo le strategie, ma soprattutto i valori di una realtà industriale che non ha come obiettivo principale quello del profitto, comunque importante per continuare a crescere e crear posti di lavoro, ma soprattutto quelli dell’innovazione, della sostenibilità, della collaborazione, e anche della bellezza.
“L’impresa di seminare bellezza” è infatti il sottotitolo del libro il cui titolo (2 km di futuro) nasce dal fatto che Loccioni ha in pratica “adottato”, in collaborazione con la autorità locali, il tratto di fiume Esino a fianco del quale è nata e si è sviluppata l’azienda. Dopo l’alluvione del 1990, che aveva creato danni molto gravi a tutto il territorio, è stato varato il progetto “Flumen” che non solo ha messo in sicurezza gli argini, riportando il corso d’acqua nel suo bacino naturale, ma ha anche realizzato mini-centrali elettriche, percorsi nel verde, piste ciclabili, stazioni di monitoraggio. E a fianco i laboratori, i centri di ricerca, le stazioni di collaudo, ma anche una fattoria, un orto, un giardino con gli animali in libertà, un punto di ristoro e di incontro.
“Oggi – spiega Loccioni – si dice innovazione sociale. Ma a noi piace chiamare questo incontro tra impresa e comunità: immaginazione sociale, uno spazio mentale in cui ogni idea, ogni progetto, ogni incontro nascono per stimolare atteggiamenti di collaborazione e di cura, di responsabilità energetica, di consapevolezza dei propri comportamenti e degli effetti che questi hanno sull’ambiente”.
Lo scorso anno 8mila persone hanno visitato il gruppo e, in molti casi, partecipato alle attività di Loccioni. Coloro che arriveranno – commentano Marialudovica e Riccardo Varvelli – “andranno a visitare un territorio di progettazione permanente, che sviluppa cultura d’impresa e innovazione tecnologica reinterpretando tradizioni e narrazioni del passato, dimostrando l’armonia possibile tra uomo e natura, tra pubblico e privato, tra profitto e valore. Andranno a fare un giro in due kilometri di futuro”.
Tutto questo in una valle delle Marche, quasi nel centro dell’Italia. Un segno concreto della passione per le persone, il vero valore di ogni impresa.