“Quale figlio di una famiglia di emigranti, sono lieto di essere ospite in questa Nazione, che in gran parte fu edificata da famiglie simili”. Sono queste le prime parole di papa Francesco rispondendo al saluto del presidente americano Barack Obama nella prima tappa del suo viaggio negli Stati Uniti. E il tema dei migranti ha fatto da sfondo a molti tra gli interventi del Papa fino all’ultimo appello alle Nazioni Unite a non costruire muri e a perseguire sempre fino in fondo la strategia del dialogo.
Le migrazioni in questa particolare fase storica stanno sollecitando l’Europa a una nuova responsabilità. La povertà e le guerre stanno spingendo migliaia di persone dall’Africa, dal Vicino Oriente e dall’Asia verso i paesi del Vecchio continente dove sperano di trovare sicurezza e lavoro. Un fenomeno certamente diverso dalle grandi migrazioni del passato, determinate essenzialmente da motivazioni economiche e mosse più dalla speranza che determinate dalla disperazione. Ma non bisogna dimenticare che i grandi movimenti di popolo, compresi quelli all’interno del Paese, sono stati tra gli elementi determinanti l’attuale assetto economico e sociale.
L’Italia ha avuto nello stesso tempo grandi movimenti migratori verso l’estero, soprattutto all’inizio del secolo scorso e dopo la Seconda guerra mondiale, e un forte spostamento della popolazione all’interno non solo dal Sud verso il Nord, ma anche dal Veneto verso il triangolo industriale. Ma tutta l’Europa è stata interessata dal fenomeno dell’emigrazione. Come ricorda Francesca Fauri nel libro “Storia economica delle migrazioni italiane” (Ed. Il Mulino, pagg. 234, euro 22), “più di 40 milioni di persone emigrarono dall’Europa verso il nuovo mondo tra il 1850 e il 1913. In questo periodo 1/3 della forza lavoro europea si trasferì oltre oceano: gli Stati Uniti ne assorbirono i 2/3, tanto che è stato calcolato che un terzo della forza lavoro americana vada imputato alla manodopera immigrata”.
Nei primi anni dell’Ottocento attraversavano l’Atlantico soprattutto inglesi, irlandesi e tedeschi, mentre nell’ultima parte del secolo e nei primi anni del Novecento i flussi interessarono la Spagna, il Portogallo, l’Italia. Questi ultimi paesi diedero vita a una nuova forte ondata migratoria negli anni ’50 del secolo scorso all’interno dell’Europa verso Francia, Germania e Belgio.
Le migrazioni peraltro non si sono mai fermate. Anzi negli ultimi anni sono tornate a crescere. Nel 2014 dall’Italia sono emigrate “ufficialmente” più di 80mila persone, in particolar modo giovani in cerca di lavoro, ed è significativo che la maggior parte provenga dalla Lombardia e la destinazione principale sia la Gran Bretagna. E al contrario dell’emigrazione del primo Novecento, quando il 70% di coloro che cercavano lavoro all’estero era analfabeta, ora un terzo di chi emigra possiede una laurea. D’altro canto oggi vivono in Italia, sempre secondo le statistiche ufficiali, 4,4 milioni di stranieri e di questi circa 3 milioni sono extra-comunitari.
Le migrazioni sono state in molti periodi un fenomeno di massa dettato dalla miseria, dalla difficoltà di trovare lavoro, dalla speranza di poter accumulare in tempi relativamente brevi risparmi sufficienti per tornare in patria. Ma, ricorda Francesca Fauri, “ogni storia di partenze ha genesi, abitudini, motivazioni diverse. Una teoria univoca sulle migrazioni internazionali non riesce a spiegare la multiforme storia migratoria italiana”. Una storia che è fatta di persone, di drammi e di speranze uniche e nello stesso tempo condivise. In questa prospettiva i richiami del Papa sono ancora più forti in difesa della dignità e del destino di ogni uomo.