Papa Francesco l’ha definita la Terza guerra mondiale. È la realtà di un mondo sempre più devastato da conflitti apparentemente locali in cui sono direttamente o indirettamente impegnate quelle che una volta si chiamavano “grandi potenze”, conflitti che non solo provocano morte, distruzione e milioni di profughi, ma che si estendono con le forme più diverse dei conflitti armati e del terrorismo.
In questi mesi, mentre sembra in via di silenzioso accomodamento la pesantissima crisi tra Russia e Ucraina, sono diventati ancora più aspri i conflitti in Siria, in Libia, tra i palestinesi e Israele, mentre solo le difficoltà (unite al disinteresse) dell’informazione tengono lontane dalla nostra attenzione le situazioni tragiche della Somalia, del Sud Sudan, del Congo o dell’Uganda.
Ma questo 2015 è anche l’anno dell’Expo, che ha portato in primo piano l’esigenza di contrastare le disuguaglianze alimentari, è l’anno dell’enciclica Laudato sì che ha posto con vigore l’obbligo morale dell’umanità di salvaguardare il creato, è l’anno in cui inizia il Giubileo della misericordia destinato a portare un nuovo respiro di carità e di responsabilità non solo nei rapporti personali, ma anche in quelli politici e sociali.
Per andare oltre l’informazione tradizionale, frammentaria ed emotiva, la Caritas italiana in collaborazione con “Famiglia cristiana” e il “Regno” ha iniziato un percorso di studio sui conflitti dimenticati che ha già prodotto negli anni scorsi quattro rapporti: il quinto, dal titolo “Cibo di guerra” è ora pubblicato da Il Mulino (pag. 210, € 18) ed è particolarmente dedicato ai rapporti tra le disuguaglianze alimentari e i conflitti. Ma non solo sotto il profilo della carenza di cibo come causa di guerra, ma anche sull’uso strumentale del cibo come strumento della lotta politica e, non meno importante, sulla necessità di affrontare gli effetti dei conflitti sulla necessità primaria dell’alimentazione.
Una delle particolarità di questo rapporto è data dal fatto che, pur non trascurando fatti, avvenimenti e statistiche, balzano in primo piano le testimonianze delle persone, gli episodi che segnano la storia di un popolo, le iniziative che cercano di portare sostegno e partecipazione. Con un’analisi particolare sull’evoluzione dell’informazione e sull’incidenza che hanno i nuovi strumenti come i social network nell’ampliare la conoscenza, talvolta tuttavia distorta, della realtà. “Tali strumenti – si afferma nell’introduzione – direttamente o indirettamente influiscono anche dal punto di vista pedagogico sulla percezione dei fenomeni, soprattutto presso le fasce più giovani della popolazione”. Con un obiettivo necessario quanto difficile: fare in modo che l’informazione e la comunicazione siano in grado “di trasmettere storie e valori, in una cornice di crescente e consapevole responsabilità etica del giornalista”.
Come ha dimostrato l’Expo 2015, al di là dei pur accattivanti elementi spettacolari, il cibo costituisce l’elemento di fondo che accomuna tutta l’umanità, il bisogno originario e non sostituibile che è alla base delle stesse regole della convivenza umana. E l’impegno per un’equa distribuzione delle risorse alimentari può costituire non solo una positiva dimostrazione di solidarietà, ma anche un passo decisivo per una limitazione dei conflitti. In questa prospettiva va anche la necessità di nuove regole per un mercato che ha fatto delle materie prime alimentari un elemento di speculazione finanziaria causando oscillazioni e cadute dei prezzi che hanno provocato direttamente gravissime tensioni sociali.
Il cibo può così essere una vera arma della pace. Come indicava cinquant’anni fa la Populorum progressio in cui Paolo VI ricordava come la questione morale sia la vera questione sociale.