“Siamo sospesi tra il non più e il non ancora”. Si può riassumere in questa breve frase dell’introduzione il senso del ventesimo rapporto sull’economia globale e l’Italia a cura di Mario Deaglio e realizzato dal Centro Einaudi (“La ripresa, e se toccasse a noi?”, Guerini e associati, pagg. 230, euro 21). Il “non più” è il paradigma delle magnifiche sorti progressive della globalizzazione, di una Cina capace di essere nello stesso tempo fabbrica e locomotiva del mondo, di un progresso tecnologico in grado di offrire aumenti di produttività e continuità di sviluppo economico. Il “non ancora” è la capacità di governare i fenomeni globali, di dare una risposta alle crisi impreviste e almeno in parte imprevedibili, come quella del terrorismo e del Califfato oppure, in tutt’altra dimensione, quella della Volkswagen.



È un mondo non solo più complesso, ma soprattutto più disordinato dato che, come si afferma nell’introduzione citando Zygmunt Bauman, siamo “in un mare aperto, senza uno strumento che misuri il peso e la distanza delle cose, solchiamo un territorio sconosciuto, in ordine sparso”. Ma è anche un mondo in cui insieme ai problemi ci sono molte opportunità, in cui dovranno avere spazio la creatività e l’intuizione, in cui la tecnologia se ben gestita potrà offrire prospettive positive non solo al benessere individuale, ma anche a una crescita qualitativa complessiva.



È significativo che il rapporto, insieme alle tradizionali analisi sulle scenario geopolitico, si soffermi a lungo sulle innovazioni della tecnoscienza, che hanno già cambiato in maniera anche sostanziale i nostri stili di vita, ma che non hanno certamente sviluppato tutte le loro potenzialità. Si parla così dell’auto che si guiderà da sola, della distruzione creatrice di Internet, della nuova batteria capace di rendere sempre più utilizzabile le energie rinnovabili, dell’economia della condivisione resa possibile da una connettività sempre più pervasiva. 

Molti effetti li misuriamo già ora, per esempio con un sistema informativo fortemente condizionato e sviluppato dai social network, con la crescita degli acquisti via internet, con la trasformazione digitale di interi settori, dalle prenotazioni alberghiere alle carte geografiche.



Gli scossoni sono visibili nel mondo del lavoro dove resiste sempre più a fatica il vecchio modello di impiego a tempo indeterminato, con un salario definito dai contratti, con un orario rigido e un posto riservato. Nuovi spazi si aprono per un lavoro se non autonomo almeno gestito autonomamente, ma soprattutto per impieghi che uniscano capacità creative a competenze negli sviluppi digitali.

In questa prospettiva stupiscono solo in parte le reazioni polemiche e ostili del vecchio sindacato italiano dopo le affermazioni del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che con sano buon senso ha osservato che è sempre meno logico riferire il salario solo all’orario di presenza nell’azienda. Non solo perché molti impieghi sono basati sulla connettività e la connettività è ormai largamente “mobile” (questo articolo è scritto e spedito da un iPad in viaggio tra Roma e Milano), ma anche perché il lavoro si misurerà sempre più con la qualità, con il valore aggiunto personale, con la creatività.

Le polemiche sono state un’altra dimostrazione di un’Italia in ritardo, almeno in una parte di quella che dovrebbe essere la classe dirigente, un ritardo che si presenta periodicamente su diversi fronti. Quello dell’uso dei fondi strutturali europei, per esempio, o dell’adeguamento delle regole amministrative, o dell’attuazione delle pur timide riforme strutturali che Governo e Parlamento riescono a varare.

Per l’Italia tuttavia qualche elemento positivo si vede all’orizzonte e il rapporto del Centro Einaudi, come si afferma nel titolo, lo mette giustamente in evidenza come segni di una ripresa possibile. Si sottolinea così la leggera crescita delle spese delle famiglie. Il forte rimbalzo del mercato dell’auto. Il recupero delle spese in turismo, anche determinato dal buon successo dell’Expo milanese, il nuovo interesse per i mutui immobiliari e quindi per gli investimenti nell’edilizia, da sempre un settore trainante per l’economia. 

Segnali positivi a cui si contrappongono elementi di forte criticità come l’eterna questione meridionale, aggravata dall’insipienza delle classi politiche locali, così come le sofferenze nel credito bancario, provocate in gran parte dalle crisi che hanno colpito piccole e medie imprese, ma anche da una gestione talvolta politico-clientelare dei prestiti.

La conclusione del rapporto è comunque improntata all’ottimismo della volontà. Con la prospettiva che la ripresa economica in Italia possa anche ridurre il peso di un elemento particolarmente rilevante come il debito pubblico. “La perseveranza – sottolinea il rapporto – dovrebbe portare a un’accelerazione progressiva del tasso di crescita, non foss’altro che per il diffondersi di un clima di fiducia tra famiglie e imprese, a un miglioramento delle finanze familiari e imprenditoriali, a un volume di spesa per consumi sostenuto da redditi da lavoro che riprendono a salire, in linea con l’aumento della produttività”. 

Un futuro possibile, che potrebbe diventare probabile se ognuno farà la sua parte nel cambiare vecchi comportamenti. Non sarà facile, dato che siamo nel Paese dei privilegi diffusi e dove domina quel benaltrismo inconcludente per cui il problema è sempre un altro.