Si inizia citando Benedetto Croce, secondo cui ogni storia è storia contemporanea, si conclude ricordando Amintore Fanfani (sì, proprio lui) per l’importanza delle sue analisi come quelle sul rapporto tra volontarismo ed economia di mercato. Un viaggio non scontato attraverso un’inedita storia dell’economia nell’ultimo libro di Luigino Bruni (“Il mercato e il dono”, Università Bocconi editore, pagg. 172, euro 18,50). Già il titolo delinea il percorso che Bruni, docente di microeconomia e di storia del pensiero economico alla Lumsa oltre che direttore scientifico della Scuola di economia civile, compie attraverso cinque secoli in cui il percorso dell’economia si intreccia costantemente non solo con la sociologia, ma anche con i caratteri fondamentali della teologia. Non solo e non tanto per ripercorrere le fin troppo discusse e criticabili tesi di Max Weber sull’etica protestante e lo spirito del capitalismo, quanto per ritrovare i frammenti perduti di grandi pensatori italiani, come Antonio Genovesi, che hanno tracciato la strada dell’economia civile, quella terza via tra socialismo e capitalismo elaborata 250 anni prima di Tony Blair. “Questo libro – scrive Bruni – nasce dall’ipotesi che indagare l’origine teologica del capitalismo può offrire chiavi interpretative per decifrare il nostro oggi difficile”.

Ripartire dall’illuminismo italiano di Genovesi, Vico, Filangeri, Dragonetti, Beccaria, vuol dire riscoprire non solo e non tanto un filone storico immeritatamente scomparso dall’orizzonte della maggior parte dei pensatori contemporanei, ma vuol dire soprattutto guardare all’economia rimettendo al centro la totalità e l’integralità della persona. Con i suoi valori e i suoi bisogni, con la sua tensione alla felicità e il suo essere definita dalle relazioni con gli altri. In questa prospettiva, allora, l’economia non può essere solo il luogo delle scambio o un metodo per fissare i tassi di interesse, ma può e deve diventare la piattaforma dove si confrontano i valori più che i prezzi, dove il bene comune è insieme causa ed effetto della felicità individuale, in cui il volontariato, il dono, la passione civile, la sussidiarietà possono diventare elementi costitutivi di una maggiore ricchezza nell’equità.

Come ha sottolineato papa Benedetto XVI nella sua enciclica “Caritas in veritate”, il dono è una dimensione che deve trovar posto non a margine, ma all’interno dell’attività economica come elemento che aiuta la stessa economia di mercato a funzionare meglio. “La grande sfida – scrive il Papa – che abbiamo davanti a noi, fatta emergere dalle problematiche dello sviluppo in questo tempo di globalizzazione e resa ancor più esigente dalla crisi economico-finanziaria, è di mostrare, a livello sia di pensiero che di comportamenti, che non solo i tradizionali principi dell’etica sociale, quali la trasparenza, l’onestà e la responsabilità non possono venire trascurati o attenuati, ma anche che nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica. Ciò è un’esigenza dell’uomo nel momento attuale, ma anche un’esigenza della stessa ragione economica. Si tratta di un’esigenza a un tempo della carità e della verità”.

C’è qualcosa di più di un’economia dal volto umano o della possibilità di rimediare a qualche senso di colpa da parte di chi persegue il potere oltre che gli interessi. C’è in questo richiamo della “Caritas in veritate” (e nel libro di Luigino Bruni), così come nella strada dell’economia civile, l’immagine di una dimensione economica che è insieme creativa e solidale, costruttrice di opere e di iniziative, aperta allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno. Un obiettivo altrettanto ambizioso quanto necessario.