Il panorama che l’Italia ha offerto al mondo all’inizio dell’estate è quanto meno desolante: basti pensare alle vicende del Comune di Roma o a quelle ancora più clamorose della Regione Siciliana per rendersi conto di come la classe politica si dimostri sostanzialmente inadeguata ad affrontare i temi del buon governo e della modernità. Tra la corruzione e l’inefficienza sembra esserci un duello continuo per vedere chi avrà il sopravvento, così come continuano a marciare a passo di lumaca riforme essenziali come quella della burocrazia e della giustizia civile.
Le promesse di Renzi di un taglio progressivo della pressione fiscale vanno nella direzione giusta, ma il cammino appare fin d’ora altrettanto necessario quanto tortuoso. La storia del recente passato appare peraltro sconfortante. Veniamo da vent’anni di non governo, di leggi ad personam, di crescita economica al lumicino molto al di sotto della media dei grandi paesi europei. Le ragioni sono molteplici, ma al fondo resta il fatto che la politica è stata utilizzata quasi unicamente per la ricerca del consenso, con una grande attenzione ai sondaggi più che ai redditi, con la perenne e condivisa logica di partiti che si sentivano in parte al governo e in parte all’opposizione.
Ci sarebbe bisogno di un colpo di reni, di un progetto altrettanto ambizioso quanto credibile, di una svolta non solo nelle regole, ma anche nei comportamenti. È quanto propongono Luigi Tivelli, a lungo consigliere di Parlamento e Governi, e Giovanni Brauzzi, diplomatico, nel loro libro che ha un titolo che è già da solo un programma: “Reset Italia” (ed. Guerini, pagg. 224, euro 18,50). Come si fa con i più moderni computer quando si imballano: si spengono e si riaccendono o si schiaccia il tasto Reset si torna al punto di partenza.
Il libro è diviso in tre parti: la prima e la più lunga è quella dedicata ai fattori di crisi, la seconda è più breve ed è dedicata alle luci che comunque non mancano, la terza riguarda la proposte concrete per avviare quello che viene chiamato un nuovo Rinascimento.
Ci sono ovviamente tutti i temi classici di ogni coerente analisi della crisi italiana: dalla corruzione all’inefficienza della giustizia, dal peso del fisco alla mano invadente dello Stato, dalla complessità della burocrazia alla decadenza della politica. E ci sono i punti di forza che comprendono sia il pubblico, con la sostanziale tenuta dei conti dello Stato, sia il privato con la forte capacità di resistenza e di innovazione, soprattutto nelle esportazioni, del settore industriale.
La novità nell’approccio alle cose da fare è data dal richiamo che gli autori fanno delle opportunità che si presenteranno comunque all’Italia nei prossimi anni. Si dovranno innanzitutto raccogliere i frutti dell’Expo, ma già l’8 dicembre di quest’anno inizierà il Giubileo straordinario della Misericordia, che dovrebbe essere uno stimolo per un nuovo grande progetto su Roma che porti anche alle Olimpiadi del 2024 e al Giubileo ordinario dell’anno successivo. Nel 2017 peraltro l’Italia avrà la presidenza di turno del G7, nel 2019 Matera sarà capitale europea della cultura, e nel 2021 si celebreranno i 150 anni di Roma capitale.
Ci sarebbe bisogno di un progetto, ma anche della capacità di realizzarlo. Ci vorrebbero idee concrete e diffuse e per questo Tivelli e Brauzzi propongono di convocare gli “Stati generali dell’Italia” chiamando a raccolta i rappresentanti delle élite politiche, burocratiche, economiche, intellettuali per raccogliere il più possibile spunti, idee e contributi originali. Il problema tuttavia, lo riconoscono gli stessi autori, non è solo quello di individuare le cose da fare, quanto quello di creare le condizioni per riuscire a farle. Allora è chiaro che è necessario “riportare nel sistema Italia, a tutti i livelli istituzionali e organizzativi, la capacità di assumere per tempo le dovute decisioni. Occorre superare la sorta di modello di democrazia bloccata da veti, concertazioni infinite, ostilità burocratiche, sovrapposizioni, a volte patologiche, della giustizia amministrativa rispetto alle decisioni politico-amministrative, che hanno sin qui ostacolato l’operatività di parte non piccola della politica istituzionale, economica e infrastrutturale”.
C’è in fondo una macchina dello Stato che non funziona più, che si è caricata di orpelli e di garanzie, che (per esempio con le Regioni) ha moltiplicato insieme i costi e le inefficienze. La riforma costituzionale, ammesso che riesca ad andare in porto, affronta alcuni di questi temi, ma più per rimediare agli errori del passato che non per offrire soluzioni sicure. Si abolisce per esempio quell’aberrazione giuridica che è la legislazione concorrente tra Stato e Regioni, introdotta con la riforma del Titolo V, ma la struttura delle spese regionali rimane sostanzialmente immutata.
Tra gli elementi di particolare interesse del libro di Brauzzi e Tivelli è la sottolineatura dell’importanza del metodo della sussidiarietà, “uno dei pochissimi aspetti positivi della malaugurata riforma della Costituzione nel 2001”, un metodo che potrebbe essere una base molto costruttiva per affrontare alcuni tra i più estesi problemi sociali italiani. La logica di fondo è quella di valorizzare tutte le risorse del Paese, quelle umane innanzitutto, ma anche quelle naturali, storiche, artistiche. Un vasto programma.
Peccato che nel Paese siano ancora molti a remare contro, a dire che il problema è un altro, ad affermare che le priorità sono ben diverse. O magari che è tutta colpa dell’euro o degli immigrati. Peccato.