Tra i luoghi storici della grande innovazione degli ultimi decenni ci sono sicuramente il garage californiano, dove venne fondata la Apple di Steve Jobs e dove per qualche tempo la piccola società mantenne il suo centro operativo, e la stanza del motel di Albuquerque nel New Mexico, dove Bill Gates fondò con Paul Allen la Microsoft: due casi che vengono portati in primo piano per dimostrare come anche con pochi mezzi si possano far nascere le imprese di maggior successo della storia del capitalismo.

In Italia, si sente spesso dire, non sarebbe possibile: Steve Jobs in Italia avrebbe perso troppo tempo per le autorizzazioni, le certificazioni e le procedure amministrative per dedicarsi alle sue invenzioni e gli eventuali primi guadagni gli sarebbero strappati dal fisco impedendogli i necessari investimenti.

Ci sono tuttavia delle eccezioni (che purtroppo confermano la regola): è il caso della Technogym di Nerio Alessandri, un’impresa nata all’inizio negli anni ’80 proprio in un garage dove sono state assemblate in modo molto artigianale le prime macchine per le palestre. Alla base un giovane di poco più di vent’anni con una grande passione, con la voglia di innovare, con un incredibile fiuto per le novità e le tendenze delle società. Un’esperienza che Alessandri racconta in un libro (“Nati per muoverci”, Ed. Baldini&Castoldi, pagg. 250, euro 16) dove emerge con chiarezza la forza di volontà che riesce a far superare gli ostacoli. Compiendo anche scelte radicali: “Il sogno di lavorare nel mondo della moda – racconta Alessandri ricordando l’inizio della sua attività – l’ho messo da parte senza rimpianti. Ogni tanto, dopo tutto questo tempo, non posso non chiedermi se non sia stata una fortuna non aver fatto lo stilista. O se la vera fortuna non sia stata abbinare la mia passione per il design alla scoperta di un settore ancora vergine e pieno di opportunità. Ma non credo che sia solo una semplice questione di caso, di destino. Fortunati si diventa, è una verità che ho compreso nel corso di molti anni”.

E così è nata la dimostrazione di come anche in Italia sia possibile fare innovazione, sia possibile abbinare la bellezza, la qualità, l’utilità, sia possibile cavalcare la strada di uno sviluppo che ha saputo utilizzare prima le competenze meccaniche, poi quelle elettroniche, poi le applicazioni di internet. Sono passati “solo” trent’anni dal primo attrezzo da palestra costruito nel garage di Calisese, nel mezzo della Romagna, a un’azienda presente in tutto il mondo, un marchio che caratterizza i grandi eventi sportivi, un simbolo di un nuovo modo di vivere in quella che viene chiamata la “wellness economy”, “un’opportunità per tutti- spiega Alessandri – governi, imprese e cittadini per combattere i rischi della vita sedentaria che possono compromettere la qualità della vita di ciascuno di noi, ma anche i bilanci pubblici e la produttività”.

Quello della Technogym non è solo un caso aziendale di successo, non è solo un esempio di come sia possibile anche in Italia far nascere e far diventare grande un’impresa; quello della Technogym è in fondo un esempio di un entusiasmo personale che diventa spirito di gruppo e capacità imprenditoriale. “Il successo – confessa Alessandri – in Italia è quasi una colpa di cui ti devi vergognare. In realtà è il frutto di tante cose: duro lavoro, innovazione ossessiva, prendersi i rischi, sintonizzarsi sui cambiamenti di tendenza e anticiparne l’evoluzione, proporre uno stile di vita nuovo e non solo un nuovo prodotto, capacità di inventare quello che manca e a cui nessuno ha ancora pensato”. Con la convinzione che “se un imprenditore, un’azienda di qualunque parte del Paese hanno successo è un vantaggio per tutti, non solo per qualcuno o i suoi amici”.

Un esempio diverso rispetto ai tanti modelli che frenano ancora l’Italia: il vecchio capitalismo di relazione, i rapporti opachi tra politica ed economia, la continua umiliazione del merito e delle competenze. Le eccezioni ci sono, ottime, ma, ahimè, ancora troppo poche.