È quasi un rituale citare il paradosso del calabrone guardando alla realtà dell’impresa in Italia. Così come il calabrone che vola sfidando tutte le leggi della razionalità e della fisica, anche l’impresa nasce e molto spesso cresce nonostante l’ostilità del contesto politico, il peso del Fisco, gli intralci della Pubblica amministrazione, la conflittualità dei sindacati, la rigidità delle banche, la scarsa preparazione di competenze che la scuola offre ai giovani.
Eppure, pur senza generalizzare, le imprese italiane hanno ottenuto risultati significativi negli ultimi anni sia sul fronte dell’internazionalizzazione, sia su quello dell’innovazione tecnologica. E mentre le grandi imprese, da Pirelli a Pininfarina, da Safilo a Italcementi, sono state conquistate da gruppi stranieri, molte piccole e medie imprese hanno raggiunto livelli di eccellenza sfruttando l’innovazione a 360 gradi e coinvolgendo sempre più direttamente i collaboratori (quelli che una volta si chiamavano le maestranze).
Siamo di fronte alla nascita di una nuova imprenditoria oppure a singoli casi personali, quasi delle eccezioni che confermano un dato di fondo piatto e di sostanziale sussistenza? Una risposta precisa non è possibile, ma che qualcosa si muova la dimostra la ricerca “La nuova borghesia produttiva” coordinata da Mauro Magatti, docente alla Cattolica, uno dei maggiori e più attenti osservatori delle trasformazioni sociali legate alla dinamica dell’economia.
La sintesi di questa indagine è ora pubblicata in un volume dallo stesso titolo (Ed. Guerini e associati, pagg. 166, euro 16,50) dove in vari interventi si delineano le tendenze di fondo di una società che pur all’interno di una crisi certamente grave e fonte di profondi squilibri sociali, ha comunque permesso l’espressione di dinamiche positive per singole imprese e per il contesto in cui operano. “In anni complicati e di grande instabilità – sottolinea Magatti nell’introduzione – l’export italiano è definitivamente uscito dal XX secolo e ha complessivamente aumentato la sua quota nel commercio mondiale. Il risultato, notevolissimo, si è ottenuto grazie all’intraprendenza creativa e propositiva messa in campo dalle nostre più quotate esperienze imprenditoriali”.
Questi risultati sono stati possibili grazie alla congiunzione positiva di tutta una serie di fattori, ma in cui spiccano tre elementi significativi: 1) la capacità di leadership e quindi di tensione innovativa; 2) la passione imprenditoriale; 3) una visione concreta della responsabilità sociale e quindi del legame con il territorio.
Si tratta di elementi che sembrano alimentare la speranza che dopo il tramonto, senza troppi onori, dell’aristocrazia imprenditoriale del dopoguerra, si possano vedere i fili d’erba di una nuova borghesia produttiva, magari ancora alla prima generazione. Con i caratteri di una forte apertura internazionale, di una volontà di valorizzare (e non sfruttare) le risorse umane, di un collegamento virtuoso con il territorio di riferimento.
Siamo di fronte ovviamente a un ancora piccolo numero di imprese che appare tuttavia destinato a fare tendenza anche sotto altri, importanti aspetti della modernità produttiva: la capacità di fare rete, per esempio, così come il perseguire nuove prospettive di welfare aziendale o il realizzare percorsi di formazione permanente.
È una tendenza particolarmente importante quella che lega “la produzione di valore economico con la generazione di valore sociale” non solo per il significato, potremmo dire etico, di una dinamica di questo tipo, ma anche perché proprio da questo deriva anche una maggiore solidità dell’impresa e una più convinta capacità di superare le difficoltà.
Vi sono quindi fondati motivi di speranza nel fatto che il quarto capitalismo, tanto annunciato, abbia qualche radice concreta nei nuovi imprenditori delle medie imprese. Imprenditori che, magari, pur senza diventare una vera e propria nuova classe sociale potranno costituire un esempio contagioso di come sia possibile fare impresa puntando insieme alla qualità del prodotto e alla qualità di vita. E se questo è vero, come è vero, è ancora più urgente che si tolgano il più possibile gli ostacoli e i pesi che continuano a frenare il fare impresa in Italia.