È dall’inizio degli anni ’70 che l’Italia si trova alle prese con la crisi economica. Poco meno di cinquant’anni fa l’abbandono dei cambi fissi tra le monete, il balzo in avanti dei prezzi del petrolio, un’inflazione che sembrava sfuggire a ogni controllo furono tutti fattori che provocarono l’inizio di un lungo periodo di difficoltà. Ai fattori esterni l’Italia seppe poi aggiungere anche elementi del tutto particolari che alimentarono le tensioni sociali e resero difficile il confronto politico. Il terrorismo e le agitazioni sindacali, pur da collocare su piani del tutto diversi, sono stati elementi che hanno enormemente condizionato le possibilità operative della politica economica e le condizioni di crescita delle imprese.

In questo scenario vi sono state personalità che hanno cercato con pragmatismo e lucidità di mantenere il timone diritto nel mezzo della tempesta. In quegli anni che hanno scritto una storia in cui c’è ancora molto da approfondire, una storia che comunque anche grazie a queste personalità ha poi saputo indirizzare il Paese verso il superamento di molte difficoltà; pur senza riuscire a vincere quelle debolezze strutturali (l’alta pressione fiscale, la scarsa efficienza della giustizia, i vincoli inestricabili della burocrazia) che anche in seguito hanno impedito all’Italia di cogliere pienamente le opportunità di crescita che sono venute dalla crescita dei mercati mondiali.

Tra queste personalità va dato un giusto rilievo a Paolo Baffi, una vita passata alla Banca d’Italia di cui è stato governatore dal 1975 al 1979, costretto a lasciare la carica per le accuse, poi rivelatasi completamente infondate, di aver favorito illecitamente i finanziamenti al gruppo chimico di Nino Rovelli, in forte difficoltà.

Nel libro Servitore dell’interesse pubblico: lettere 1937-1989, curato da Beniamino Andrea Picone (Nino Aragno editore, pagg. 324, euro 25), è raccolta una ricca serie di conversazioni epistolari che Baffi ha tenuto nel corso degli anni con una larga platea di amici, politici, giornalisti ed economisti a cui confidava i suoi pensieri e le sue convinzioni. Nelle lettere, così come nella lunga e dettagliata ricostruzione di Picone, emerge la figura di una personalità che univa una grande conoscenza tecnica dei meccanismi dell’economia, e della moneta in particolare, a una profonda umanità con sentiti e praticati valori di solidarietà e partecipazione. 

Spicca la frugalità della sua vita, la rinuncia a compensi e prebende al di là dello strettamente necessario, la volontà di anteporre in ogni caso una visione lunga nell’interesse nazionale. Così come emerge la dignità di una persona che, con grande amarezza, si trovò a essere accusato strumentalmente in un momento tra i più grigi della Repubblica, con le trame di Sindona, l’assassinio di Giorgio Ambrosoli, l’influenza di ambienti oscuri e criminali sulla politica.

Come ebbe a scrivere Paolo Mieli: “Paolo Baffi è stato una grande personalità della Banca e della storia della Repubblica italiana. Non solo per la disavventura che gli capitò, e di cui erano colpevoli, probabilmente intenzionalmente, i giudici che lo inquisirono. Ma per il modo di comportarsi, un modo dignitoso. (…) Una dignità che gli vale un posto nella storia d’Italia che è quello dei grandi, dei benemeriti, delle persone che non saranno mai dimenticate”.

L’epistolario di Baffi, i suoi scritti e i pochi interventi da Governatore, costituiscono una testimonianza che dovrebbe entrare nelle scuole non solo per comprendere da vicino l’evoluzione storica, ma anche e soprattutto per avere una lezione di umanità e insieme, come dice il titolo del libro, dell’esperienza di un grande “servitore dell’interesse pubblico”. E insieme le lettere scritte a Baffi, e raccolte in questo stesso libro, costituiscono un convinto e condiviso attestato di stima basato sulla realtà delle scelte compiute da Baffi in momenti di grande difficoltà.

I punti più difficili della crisi economica sono stati superati grazie all’autorevolezza di uomini come Paolo Baffi. Ma si può anche amaramente constatare che se la crisi dagli anni ’70 in poi è diventata una dimensione infinita lo si deve anche alla visione corta della politica, alla prevalenza degli interessi individuali, all’incapacità dei responsabili delle strutture dello Stato di seguire, e se necessario di precedere, l’evoluzione della società.