Le due parole sono tanto simili che tendono a confondersi. Eppure sono quasi agli antipodi, due concezioni opposte dell’impegno politico e sociale. Da una parte il populismo, quello che va molto di moda in questo periodo. Dall’altra il popolarismo, quella dimensione della politica che è stata alla base della nascita del Partito popolare italiano nel 1919 per opera di Luigi Sturzo con il suo “appello a tutti gli uomini liberi e forti”.

Il populismo rappresenta la massima espressione della demagogia, far credere che sia possibile conciliare gli opposti (come aumentare la spesa e ridurre le tasse), puntare sulle emozioni degli slogan e dei giudizi sommari, opporsi pregiudizialmente a tutte le proposte che possono venire dalla maggioranza. Il populismo è enfatizzato dai moderni mezzi di comunicazione. Quei talk show dove ogni tentativo di ragionamento viene soffocato dal diluvio di parole. Quei cinguettii, quei tweet che in pochi caratteri esprimono un giudizio drastico e senza appello. Quei giornali dove la notizia esplode a piena pagina e la rettifica occupa solo poche righe nascoste, dove l’avvio di un’indagine è un titolo di apertura e l’archiviazione o l’assoluzione restano nascoste ammesso che ci siano.

Il popolarismo è spiegato molto bene nel libro di Giovanni Palladino “Governare bene sarà possibile” (Rubbettino, pagg.110, euro 10). Palladino è figlio di Giuseppe, esecutore testamentario di don Luigi Sturzo, e segretario del partito “Popolari liberi e forti” che raccoglie l’eredità politica del sacerdote siciliano. ” I mali della società – scrive Palladino ricordando quanto affermava Sturzo – si correggono solo se è la ragione morale a condizionare e guidare la ragione politica e la ragione economica. Qui risuona alto l’avvertimento di Gesù nell’ultima cena: ‘Chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve'”.

Per la mentalità corrente può sembrare quasi un sacrilegio, un mischiare il sacro con il profano, parlare di Vangelo all’interno della realtà politica. Ma il Vangelo, con la sua proiezione metodologica che è la Dottrina sociale della Chiesa, è la vera pietra di divisione tra gli interessi particolari, se non personali, da una parte, e il bene comune dall’altra. Il Vangelo è il richiamo costante a servire la libertà delle persone e questo in politica vuol dire combattere lo statalismo, lo spreco dei soldi pubblici, il dominio dei partiti. Per sollecitare la libertà delle persone in uno spirito molto concreto di sussidiarietà per i diversi piani sociali.

Riprendere in mano l’insegnamento di Sturzo, come con estrema chiarezza Palladino fa in questo libro, vuol dire recuperare le radici non solo dell’impegno dei cattolici in politica, ma della presenza di ogni persona di buona volontà nel valorizzare l’impegno e la passione di ciascuno. Popolarismo è consentire e rispettare la libertà di scelta delle famiglie nel percorso educativo dei propri figli. Popolarismo è restituire libertà all’impresa e prestigio sociale all’imprenditore quando crea posti di lavoro e guarda al successo della propria impresa nell’ambito di una prospettiva a medio lungo termine. Popolarismo è considerare la moralità un pre-requisito della politica, un metodo inderogabile che tuttavia deve dare vita ad impegni per la creazione e l’equa distribuzione della ricchezza. Popolarismo è non aver paura di contrastare i fenomeni di pericolo sociale e personale, come il fumo e il gioco, che invece vengono tollerati per non perdere un ricco gettito fiscale.

C’è poco di popolarismo, è triste riconoscerlo, nella politica attuale. Per questo riprendere in mano l’insegnamento di Luigi Sturzo può essere una svolta positiva. Un po’ di sano integralismo è più giustificato se guardiamo al deserto di valori che continua a creare quell’individualismo laico e gaudente anti-tutto, anti-politica e anti-ragione.