L’Italia è, insieme al Giappone, il Paese in cui si vive più a lungo e in cui la speranza di vita è costantemente cresciuta negli ultimi decenni. Ma non si tratta solo di un dato cronologico: la vita degli anziani di oggi è diversa da quella degli anziani di solo cinquant’anni fa. Si parla ormai di longevità, intendendo la capacità e la volontà di continuare a partecipare, se non direttamente al mondo del lavoro, comunque alle iniziative della società civile.

In questa dinamica un elemento essenziale è sicuramente quello della salute e quindi dell’efficienza della spesa sanitaria e assistenziale. Con l’esigenza di cambiare le tradizionali prospettive con cui si guardano e si giudicano dimensioni economiche come quella della spesa pubblica. 

Negli ultimi anni, almeno dall’inizio del terzo millennio, la preoccupazione di fondo per l’economia, quella italiana in particolare, è stata quella della crescita. Una crescita che per effetto congiunto di vari elementi si è progressivamente spenta creando disagio sociale, disoccupazione, allargamento delle disuguaglianze. Gli elementi di fondo che hanno determinato questa realtà sono stati in ugual modo esterni e interni. Esterni per gli effetti soprattutto della crisi finanziaria globale del 2008/2009 e per la crescita pressione competitiva delle economia emergenti. Interni per l’immobilismo della politica incapace di trovare alternativa a una spesa pubblica bloccata non solo e non tanto dai vincoli europei, ma soprattutto dall’aver creato un debito pubblico sempre più difficile da gestire.

Ben difficilmente si potrà comunque tornare a livello quantitativo ai ritmi di crescita del secolo scorso. Sono molti i fattori strutturali che sono cambiati: in modo particolare, come detto, l’invecchiamento della popolazione collegato a un sempre più basso ricambio demografico e la crescente automazione industriale che di fatto limita la possibilità di creare nuova occupazione nei settori tradizionali.

È forse il momento, anche per quanto resta della politica economica, di cercare nuove prospettive, più vicine ai bisogni reali della popolazione. Ecco l’interesse per un libro come quello di Leonardo Becchetti e Lorenzo Semplici, “Salute e felicità” (Ed. Il Mulino, pagg. 180, euro 18), un libro che prende le mosse dalle ampie discussioni che si sono fatte negli ultimi anni per introdurre anche elementi qualitativi nelle valutazioni delle dinamiche economiche. In pratica per superare la tradizionale visione del Pil (Prodotto interno lordo) come indicatore principale dello stato di salute dell’economia. “Occorre considerare – scrivono Becchetti e Semplici – il reddito relativo, la propria posizione nella società, i ‘beni relazionali’, il livello percepito di sicurezza e di salute fisica e mentale, le capacità di ognuno e la possibilità di realizzarle liberamente”.

Con la necessità di migliorare l’attenzione verso politiche che riguardino da vicino la fascia di popolazione virtualmente “anziana”, ma ancora economicamente e socialmente attiva nella prospettiva di una longevità che non è solo uno slogan. Ecco l’importanza della spesa per la salute anche per favorire un sentimento di sicurezza e di coesione sociale. Ecco la possibilità di impegno in campo come il volontariato, l’educazione, le iniziative sportive, la solidarietà.

È un impegno che può partire anche dal basso e che richiede più iniziativa e passione che non risorse economiche. Un impegno per il quale si possono muovere anche le nuove amministrazioni comunali se vogliono dare un segnale di attenzione ai grandi cambiamenti sociali.