Secondo alcune classifiche è il Paese più competitivo del mondo, secondo altre quello più ricco, e per altre ancora quello in cui c’è la migliore qualità della vita. Alla radice di queste classifiche c’è chi vede una felice congiunzione tra operosità ed equilibri istituzionali, e chi, più criticamente, mette in luce fattori come il segreto bancario o la fragilità dei diritti nel mondo del lavoro. Parliamo della Svizzera, una realtà unica e difficilmente replicabile, ma che comunque può essere in molti casi un esempio o comunque una costruttiva testimonianza.

“Che cosa consente alla Svizzera, un Paese attraversato da divisioni culturali, sociali, religiose, politiche, di ‘stare insieme’, di trovare comunque una coesione? È questa la domanda principale, una domanda che affonda le radici nella storia secolare della Confederazione e soprattutto della Svizzera moderna”. È con questa domanda che si apre il libro “Frontiere e coesione, perché e come sta insieme la Svizzera”, curato da Marco Marcacci, Oscar Mazzoleni e Remigio Ratti (ed. Armando Dadò, Locarno, pag. 204, Fr. 20), un libro in cui sono raccolti una serie di saggi che prendono in esame da tutti i punti di vista quella che è spesso considerata come un’eccezione, se non un’anomalia. 

La Svizzera infatti è un insieme di divisioni: tra città e campagna, tra cattolici e protestanti, tra montagne e pianure, un Paese dove vi sono quattro lingue ufficiali, in cui un quarto della popolazione residente non è cittadina svizzera e un altro quarto ha comunque almeno un nonno immigrato, in cui ci si divide anche sul modo di cucinare le patate.

La risposta a queste domande è anche questa formata da un insieme di tanti elementi. Al primo posto vanno indubbiamente messi i fattori storici: gli eventi, esterni ed esterni, hanno in più occasioni sollecitato e quasi imposto quella coesione nazionale che ha permesso di superare indenne gli ultimi duecento anni dei conflitti europei. Poi ci sono i saggi equilibri istituzionali che sono riusciti, e riescono tuttora, a temperare le divisioni ideologiche tra i partiti e a valorizzare la componente federale dei singoli Cantoni: il Governo della Confederazione, i sette membri che compongono il Consiglio federale, rappresentano praticamente tutti i partiti e affrontano i problemi con un sano pragmatismo, anche perché a fianco del potere legislativo, esercitato dal Parlamento, si colloca un frequente ricorso alle votazioni popolari sulle grandi come sulle piccole scelte del Paese.

Sullo sfondo poi c’è un benessere diffuso, anche se non mancano aree di povertà, che poggia le sue radici non solo nel sistema bancario e finanziario, ma anche in un’industria competitiva e in un’agricoltura fortemente sovvenzionata.

Negli ultimi anni, sottolineano alcuni saggi contenuti nel libro, gli equilibri si sono in parte complicati per molti fattori. È cambiato lo scenario esterno, con una globalizzazione sempre più forte, così come è cambiato lo scenario interno con una crescente insofferenza verso una presenza degli stranieri sempre più difficili da integrare. E inoltre il sistema finanziario è destinato a ridimensionarsi per gli inevitabili accordi che hanno fatto superare il segreto bancario. 

Quale potrà essere in questa prospettiva il futuro della coesione svizzera? Nel suo saggio conclusivo Remigio Ratti indica quattro scenari per un nuovo federalismo, scenari basati sulla maggiore o minore volontà di adattarsi da una parte e di guidare dall’altra i processi economici e sociali. Con un rischio di fondo: quello della frammentazione “purtroppo – sottolinea Ratti – una delle caratteristiche della società odierna”, che comporterebbe “il pericolo di una svalutazione minimalista del nostro federalismo”.