In un precedente articolo, scritto prima delle recenti elezioni negli Stati Uniti, avanzavo un’ipotesi un po’ azzardata: che Joe Biden potesse cedere alla tentazione di rifarsi, o vendicarsi, per la sua rimozione dalla corsa presidenziale. Una rimozione fatta dal suo partito, i democratici, all’ultimo momento e in un’atmosfera che richiamava apertamente il giudizio di “Sleepy Joe” espresso su di lui a suo tempo da Donald Trump. All’epoca, il 2019, Biden rispose definendo Trump un “clown”, ma il clown questa volta ha vinto, e alla grande. È pensabile che Biden sia convinto che, se lo avessero mantenuto in gara, avrebbe potuto vincere o che, comunque, la vittoria di Trump sarebbe stata meno disastrosa per il Partito democratico. Opinione giustificabile da un punto di vista soggettivo, ma poco realistica.



Anche i rapporti con la sua vice, Kamala Harris, si sono probabilmente raffreddati, ma se avesse vinto, il passaggio delle consegne sarebbe stato forse un po’ freddo ma pacifico. Si può ritenere, invece, che Trump dovrà fronteggiare una serie di iniziative del presidente uscente dirette a metterlo in difficoltà fin dall’inizio. Né è credibile che la sconfitta Harris, tuttora vicepresidente, possa far da freno, ammesso che lo voglia e tenendo presente che finora non ha esercitato una grande influenza.



Primi segnali preoccupanti vengono dall’Ucraina, uno degli argomenti di battaglia di Trump: “se eletto, porrò fine alla guerra”. Negli ultimi giorni, Biden ha autorizzato l’invio di mine antiuomo agli ucraini, malgrado avesse in passato sostenuto l’opportunità di cessarne la produzione e vietarne l’esportazione. A quanto pare, si tratta di mine a durata limitata, così da ridurre gli eventuali effetti sui civili, tragico strascico dell’uso di questi ordigni.

Ancora più pericolosa è la decisione di autorizzare gli ucraini ad utilizzare i missili ATACMS per colpire il territorio russo, cosa avvenuta immediatamente, che non risolve molto sul piano militare, ma che può determinare una drammatica escalation del conflitto. Il lancio, autorizzato da Putin, del missile balistico ipersonico a medio raggio Oreshnik, avvenuto ieri, è un avvertimento. Una decisione, quella del presidente americano, che accantona palesemente la tesi che la fornitura di armi all’Ucraina da parte di USA e altri Stati europei fosse solo in funzione difensiva. Gli Stati Uniti non hanno venduto questi missili, disinteressandosi poi del loro uso, li hanno forniti indicandone il loro preciso impiego: colpire obiettivi in Russia.



La Russia ha aggredito l’Ucraina, che ha tutto il diritto di contrattaccare, anche in territorio nemico, come già fatto a Kursk. Autorizzare l’uso di proprie armi, determinanti peraltro, in questi contrattacchi porta gli Stati Uniti in una situazione vicina alla cobelligeranza. Certamente un bell’ostacolo alla proclamata politica di Trump, ma a che prezzo? Senza dubbio con costi maggiori per il popolo ucraino, dato che Mosca reagirà sull’immediato con bombardamenti ancor più disastrosi soprattutto per i civili. Non a caso, gli Stati Uniti hanno chiuso la loro ambasciata a Kyiv. Tutto questo proprio nel momento in cui i sondaggi evidenziano un progressivo desiderio degli ucraini perché la guerra finisca e perfino Zelensky sembra aver ormai accantonato i suoi proclami di vittoria totale. Così, sia pure sullo sfondo, riappare il rischio di un conflitto nucleare.

Una situazione per molti versi assurda e neppure completamente spiegabile con il citato desiderio di rivalsa di Biden e che, proprio per questo, assume una tinta ancor più preoccupante, in quanto potrebbe essere il segnale non tanto di un’opposizione a Trump, ma di una scellerata volontà all’interno dell’establishment statunitense di regolare i conti con la Russia, una volta per tutte. Convinti, forse, che i costi rimangano comunque a carico di altri.

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