Senza un cessate il fuoco non c’è ragione di essere ottimisti su questo round di colloqui tra Mosca e Kiev, spiega al Sussidiario Pasquale De Sena, presidente della Società italiana di diritto internazionale e ordinario nell’Università di Palermo. Oggi le due delegazioni torneranno a sedersi intorno al tavolo, dopo il primo incontro di lunedì. Con De Sena abbiamo esaminato le richieste della Russia: riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea, demilitarizzazione e “denazificazione” dell’Ucraina, neutralità di Kiev.
Ma secondo De Sena il fatto più dirompente è il vero obiettivo di Putin. Che non è quello di prendersi semplicemente l’Ucraina, per ragioni di sicurezza (ci sono anche queste), ma di sovvertire l’ordinamento politico-giuridico internazionale vigente per crearne uno nuovo, bi- o tripolare, scardinando l’unipolarismo americano.
Ursula von der Leyen ha parlato di “scontro tra democrazia e autocrazia”, “tra lo stato del diritto e lo stato delle armi”. Sono le coordinate giuste?
Più che tra forza e diritto, mi sembra un conflitto tra due visioni dell’assetto giuridico e politico delle relazioni internazionali; quella euro-atlantica e quella propugnata dalla Federazione Russa. Questo, si badi bene, non significa affatto che le regole giuridiche internazionali oggi in vigore non siano state violate: la condotta russa è una violazione grave del diritto internazionale senza scusanti giuridiche. Essa va però inquadrata nel contesto della strategia di Putin e dello stesso Xi Jinping.
Qual è il loro obiettivo?
Modificare il quadro giuridico-politico internazionale nel suo complesso. Andrebbero riletti attentamente lo “Statement” di Putin del 24 febbraio scorso e la dichiarazione congiunta dei due leaders del 4 febbraio scorso. Emerge l’idea di un ordine internazionale non più unipolare – riconducibile al predominio degli Usa e dei loro alleati occidentali – ma multipolare, tale da ammettere, cioè, due o tre poli e le rispettive aree di influenza, connotate dai loro diversi modelli di democrazia, dalla parziale diversità dei diritti fondamentali tutelati, ecc.
Un vero e proprio cambiamento del mondo. Fatta questa premessa?
In una simile prospettiva, quel che dal punto di vista del diritto internazionale vigente si configura indiscutibilmente come un’aggressione (ai danni dell’Ucraina, ndr), acquisisce una coloritura diversa.
E quale sarebbe?
L’intervento russo in Ucraina – come già quelli precedenti, in Crimea e in Georgia – tende a configurarsi come un’ipotesi di uso della forza militare che riecheggia la categoria delle “guerre-rivoluzioni”, coniata da un grande internazionalista del secolo scorso, Rolando Quadri. Quadri definiva così i conflitti extra ordinem; quelli finalizzati, cioè, a cambiare gli equilibri “costituzionali” dell’ordinamento internazionale.
E a tale scopo sembra essere finalizzato il tentativo di Putin.
Sì; un tentativo che è, lo ribadisco, illecito secondo il diritto vigente. Lo stesso Mario Draghi, intervenendo in Senato il 25 febbraio, ha rilevato che la “dottrina Putin” è tutto meno che estemporanea; al contrario, è il frutto di una lunga elaborazione e di una strategia che si protrae da anni. Con questa strategia, il presidente russo tenta di sovvertire trent’anni di unipolarismo americano allo scopo di inaugurare una fase nuova delle relazioni internazionali, senza che ciò implichi necessariamente il superamento dell’Onu. Un’organizzazione che, del resto, è restata in piedi anche durante il periodo della contrapposizione fra i blocchi.
La chiederei di commentare una dichiarazione di Lavrov: “per molti anni l’Ue (…) ha generosamente finanziato il regime di Kiev, salito al potere a seguito di un colpo di stato anticostituzionale”.
È certo che la leadership di Kiev, dal 2014, fino alla presidenza Zelensky, è l’esito di una vicenda travagliata, non del tutto scevra da perplessità, legate alla consistenza e alle modalità dell’appoggio occidentale. Di qui a definire questa vicenda come un “golpe anticostituzionale”, in senso tecnico, ne corre un po’.
Ancora Lavrov: “l’Ue (…) collegando tutte le prospettive delle relazioni con la Russia all’attuazione degli accordi di Minsk, non ha fatto nulla per costringere Kiev ad avviare l’attuazione dei suoi elementi chiave”.
Sulla portata degli obblighi derivanti dagli accordi di Minsk non c’è accordo e la posizione di Lavrov è espressione di questo disaccordo, visto che anche l’Ucraina sostiene che la Russia ne avrebbe impedito l’esecuzione. Il problema è che la stessa natura giuridica degli accordi di Minsk è dubbia, visto che la Russia si è sempre detta firmataria a titolo di “garante morale” della loro attuazione, non come parte; e che essi si prestano ad essere interpretati più come intese di carattere interno fra il Governo ucraino e i rappresentanti delle repubbliche di Donetsk e Lugansk dell’epoca, che come accordi internazionali veri e propri, intercorrenti fra Russia e Ucraina. Posto che l’Ucraina non aveva affatto accettato, con tali accordi, di condizionare il ritiro delle forze militari straniere alla loro esecuzione, ritengo che anche questa dichiarazione di Lavrov rientri nel tentativo di forzare e di cambiare l’ordine internazionale vigente, cui tutta l’operazione militare russa è finalizzata sin dall’intervento del 2014.
Secondo questa lettura, che cosa avrebbero dovuto fare gli occidentali?
Secondo Lavrov, essi avrebbero dovuto agire in modo da rispettare la zona di influenza della Russia, astenendosi senz’altro dall’incoraggiare la prospettiva dell’adesione dell’Ucraina alla Nato, se non anche l’adesione all’Ue. È evidente, insomma, che siamo in presenza di un conflitto di visioni che si traduce in interpretazioni totalmente divergenti della portata e del significato giuridico di tali accordi.
Come uscirne?
Non vi è dubbio che per risolvere una simile controversia, l’uso delle armi debba cessare.
Si può invadere l’Ucraina e dire al tempo stesso, come fa Lavrov, che la consegna di “armi letali” a Kiev “segna la fine dell’integrazione europea come progetto pacifista per la riconciliazione dei popoli europei” post seconda guerra mondiale?
Mi pare che si tratti di un’affermazione di carattere politico. Giuridicamente non si può negare il diritto di autotutela collettiva – contemplato sia dalla Carta delle Nazioni Unite che dal diritto internazionale generale – in cui si inquadra la scelta di Stati e istituzioni dell’Ue, di fornire appoggio militare all’Ucraina.
Oggi si ritroveranno le due delegazioni. Putin ha detto a Macron che un accordo con l’Ucraina è possibile se vengono rispettati i legittimi interessi di sicurezza della Russia, tra cui: riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea; demilitarizzazione e denazificazione dello Stato ucraino; garantire lo status neutrale dell’Ucraina.
Una premessa. Fino a che non c’è un cessate il fuoco e perlomeno non si avvia un ritiro delle truppe, parlare di accordi è difficile giuridicamente, perché se tali accordi venissero conclusi con la presenza delle forze russe sul territorio ucraino difficilmente potrebbero considerarsi validi.
Per quale motivo?
Perché conclusi con l’uso della forza in corso e sotto la minaccia della sua prosecuzione. Sarebbe una violazione di un principio fondamentale del diritto dei trattati.
E per quanto riguarda il contenuto?
L’idea di ottenere la neutralizzazione per il tramite di un accordo internazionale ha un suo rilievo oggettivo. Direi di più: probabilmente corrisponde ai fini che effettivamente Putin persegue, o, perlomeno, costituisce un obiettivo minimo per la Russia.
La “denazificazione”?
In Ucraina è sicuramente presente un nazionalismo estremista. Ma di certo un simile fenomeno non può essere fronteggiato e debellato dall’esterno con un’invasione. L’esclusione di partiti filonazisti può essere assicurata solo da norme di carattere costituzionale che mettano fuori legge le formazioni che si ispirano apertamente a quelle posizioni.
Quanto allo status della Crimea?
È un vero pasticcio. La situazione crimeana è considerata illegale dall’Ue e da gran parte degli Stati occidentali, in base a principi fondamentali del diritto internazionale, che vietano le acquisizioni territoriali illegittime. Sul referendum che ha preceduto l’annessione alla Russia gravano forti dubbi di validità per il modo in cui si è svolto. Andrebbe ripetuto alla presenza di osservatori occidentali (Osce), russi e, ovviamente, ucraini, nel contesto di un accordo di composizione globale della controversia in corso, in cui potrebbe trovare considerazione anche la prospettiva di neutralizzazione dell’Ucraina.
Durante il primo confronto tra le due delegazioni Zelensky ha firmato una richiesta di adesione all’Ue. Come commenta?
Capisco Zelensky, capisco meno il comportamento dell’Unione. Bruxelles si è espressa con due voci opposte, quella entusiastica di von der Leyen e quella dell’Alto commissario Josep Borrell, che si è manifestato assai più cauto, dichiarando che la questione non è all’ordine del giorno.
Come è possibile una situazione del genere?
Perlomeno Borrell deve aver realizzato che, nel mezzo di una trattativa di Kiev con Mosca, non era politicamente opportuno aprire una corsia preferenziale, o di emergenza, per l’adesione dell’Ucraina.
Incompetenza, mancanza di realismo politico o subordinazione a motivazioni ideologiche?
Probabilmente, un mélange di queste tre circostanze, cui si aggiunge l’estrema debolezza politico-istituzionale dell’Unione sul versante della politica estera, accentuata – con riferimento alla crisi in corso – anche dalla mancanza di strutture militari comuni.
Come giudica la politica della Nato?
È difficile rispondere in due parole. Rispetto al suo trattato istitutivo, la Nato ha costantemente espanso il suo campo di azione a partire dagli anni 90, con operazioni cosiddette out of area, per fronteggiare crisi nelle aree prossime ai territori coperti dal Trattato e – dopo – a scopi di repressione del terrorismo. Contemporaneamente, essa si è allargata ad Est, giungendo a includere Stati baltici e Paesi significativi dell’Est europeo. Mi sembra che una simile espansione tenda naturalmente a entrare in conflitto con gli obiettivi di fondo della “dottrina Putin”, particolarmente ai confini dell’area geopolitica cui tale dottrina si riferisce.
E la Russia di Putin si è riarmata per impedirlo. Mosca teme di più i missili occidentali o l’ideologia liquida che contraddistingue le democrazie modello Usa?
Io, ripeto, non credo che il riarmo della Russia abbia un carattere esclusivamente difensivo, anche se nel 2021 era stata prevista l’adozione di una nuova dottrina strategica della Nato; mi pare che esso si inquadri nel tentativo di dar vita ad un ordine internazionale multipolare. Non è detto, peraltro, che un simile tentativo sia destinato a riuscire, o che riesca ora, sia pure in parte.
E adesso? Da chi dipende trovare una via di uscita?
Da tutti gli attori in campo, naturalmente. D’altronde, non penso che anche in termini economici un simile conflitto sia sostenibile a lungo per la Repubblica russa; ma neppure ritengo che esso sia sicuramente destinato a finire per questo, né che gli Stati occidentali, soprattutto quelli europei, siano destinati a sopportare sacrifici inferiori. Dunque, direi che spetta anzitutto a questi due attori trovare una via d’uscita. Ed anche piuttosto rapidamente, per evitare guai e tragedie ulteriori.
È ottimista sull’esito di questo primo round di colloqui tra Kiev e Mosca?
Non particolarmente. Ci sarà ragione di iniziare ad esserlo quando perlomeno un accordo sul cessate il fuoco sarà raggiunto.
(Federico Ferraù)
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