“Per quanto riguarda l’atto specifico, lo esamineremo con attenzione” ha detto Draghi al G7 riferito al Memorandum di intesa Italia-Cina. “La realtà è che quell’intesa è morta” dice al Sussidiario Carlo Pelanda, economista, già consigliere del presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Nel 2019 l’Italia firmò, in gran fretta e con poca trasparenza, un Memorandum di intesa con la Cina sulla Belt and Road Initiative, la Nuova Via della Seta, ambizioso progetto espansionistico della Cina verso occidente. La Lega era al governo e subì l’iniziativa, M5s e Conte ne erano i principali sponsor. Ma adesso lo scenario sta cambiando rapidamente. Il G7 e le parole di Draghi hanno avuto la conseguenza di mettere i filo-cinesi allo scoperto. Una situazione non facile, che il presidente del Consiglio dovrà gestire senza ripercussioni sul governo.
Cosa ne sarà del Memorandum dopo l’incontro Biden-Putin?
Formalmente non verrà cambiato, ma nella sostanza sarà lasciato morire. Una scelta avviata già nella seconda metà del 2020 su pressione di Mike Pompeo.
Però ci sono delle contro-spinte in atto.
Ovvio: la Cina è arrabbiata e pretenderà una conferma formale, accusando l’Italia di essere ambigua, se non di tradire gli accordi.
Secondo Formiche Ettore Sequi, segretario generale della Farnesina, starebbe lavorando al documento finale di un incontro bilaterale tra Draghi e Li Keqiang, in agenda nelle prossime settimane, prima del G20. Si legge: “Le parti sono disponibili a promuovere l’attuazione del memorandum d’intesa (…) e a rafforzare il collegamento dell’iniziativa cinese Belt and Road”.
Questo è il piano formale delle relazioni diplomatiche, sul quale l’Italia deve agire bene e con la massima attenzione.
Al G7, parlando del Memorandum, Draghi ha detto: “per quanto riguarda l’atto specifico, lo esamineremo con attenzione”. Sembra una manifestazione di scetticismo.
Attualmente c’è una forte convergenza euro-americana, ed è ancora più forte quella tra Italia e Stati Uniti. Draghi ha fatto capire a Biden che il Memorandum è morto, ma che al tempo stesso non possiamo litigare con la Cina per non pregiudicare le aziende italiane nel mercato cinese. E ha ottenuto da Biden un sostanziale via libera.
Un via libera per fare cosa?
Per gestire la situazione, anche sul piano formale, in modo che la Cina non faccia ritorsioni di mercato. Ma il Memorandum è morto. Dalla metà del 2020 tutti gli apparati hanno espulso la Cina da ciò che è rilevante. in Italia più che in Francia o in Germania. La vera notizia è un’altra.
Ci dica.
Per la prima volta da tanto tempo un’amministrazione Usa si mette in posizione di ascolto e di comprensione dei problemi degli alleati. Lo ha fatto con la Germania e anche con noi.
Perché con la Germania?
Merkel il 15 luglio sarà a Washington per chiarire diverse cose. Nel frattempo l’America ha sospeso le sanzioni contro il North Stream 2.
E l’Italia?
Dobbiamo evitare che Pechino metta il veto alla moda italiana o scoraggi i suoi turisti. Dunque abbiamo bisogno di tempo per bilanciare l’eventuale problema.
Cosa faremo con il Memorandum?
Qualcosa di molto simile a quello che ha fatto la Germania con il trattato Cai (Comprehensive Agreement on Investment, ndr) tra Europa e Cina, voluto dalla Merkel. Il parlamento europeo ne ha bloccato la ratifica.
Torniamo all’Italia. Diceva che la Cina è molto arrabbiata.
Sì ed è un fatto molto importante, perché permette alla nostra intelligence di capire il grado di partecipazione di molti attori italiani al partito filo-cinese.
Infatti dopo la convocazione di Grillo all’ambasciata cinese, la stampa li ha messi platealmente allo scoperto. Non solo D’Alema e Prodi.
C’è anche un altro elemento, non secondario. Tutto questo mostra che la Cina commette errori e di conseguenza può essere facilmente indotta a farli. Passa per essere un giocatore di scacchi molto bravo, e invece fa un errore dietro l’altro.
Come si spiega?
La Cina deve spesso dare la priorità a fattori di coesione interna o di nazionalismo perché nel paese c’è una instabilità latente. Ma il nervosismo la porta ad agire in modo aggressivo e a sbagliare. Vogliamo intensificare i nostri rapporti? Facciamolo. Volete chiamare tutto questo Belt and Road Initiative? Facciamo anche questo. Quanti soldi ci mettete?
Tanti. Un trilione di dollari di investimenti in infrastrutture nei paesi firmatari dell’accordo.
No, invece. La Cina quei soldi non li ha più perché deve tamponare il suo enorme buco finanziario. Ovviamente Pechino insisterà, farà pressioni. Questo non deve farci trovare impreparati né deve farci sottovalutare gli errori commessi.
Altrimenti?
Se la Cina si mette di traverso, può ancora far fallire la presidenza italiana del G20.
E quanto ai nostri errori?
Quella firma è stata il risultato di un dilettantismo spaventoso. Infatti Francia e Germania, che fanno molto più business con la Cina di noi, non hanno firmato nulla che andasse sopra la soglia politica. Non mi chieda perché noi lo abbiamo fatto.
Sì invece.
Dipende da come funziona il “partito cinese”. C’è una prima componente, orientata al business, che magari non vorrebbe vedere un comunista neppure all’orizzonte ma ha ricevuto privilegi sul mercato cinese. Al momento opportuno dev’essere pro Cina altrimenti perde il business. Succede anche all’estero, ma Berlino e Parigi sono più abili nel difendere i loro imprenditori. Anche se può non bastare: per questo la Merkel sarà a Washington.
E poi?
Poi viene una seconda componente, non-business ma fidelizzata mediante vantaggi personali. Ora sono scatenati e puntano – come la Cina – sul deficit di credibilità dell’Italia: abbiamo firmato un’intesa e adesso dobbiamo rispettarla.
Prodi, D’Alema e Grillo sono i nomi più citati. Ma gli altri?
Sono circa 120 personaggi di punta. Una parte consistente è del Pd, ma è meglio non parlarne perché in quel partito c’è una corrente filo-atlantica che non è saggio mettere in imbarazzo.
E così lascia i 5 Stelle con la bandierina cinese in mano.
C’è una terza componente, influenzata o riconducibile al Vaticano, sulla quale preferirei astenermi perché è questione interna della Chiesa. Occorre considerare quanto sia difficile tenere in piedi un’organizzazione ecclesiale in Cina.
Intende dire che l’accordo sui vescovi con Pechino è stato un errore?
Lo dice la ribellione di tanti cattolici cinesi. Però quell’accordo ha generato una presa di coscienza e alimentato la chiesa cattolica clandestina. Questo fa essere ottimisti per un futuro di ribellione democratica in quel paese.
Non sarà che l’attuale segretario del Pd, quando è arrivato Draghi al governo, è stato chiamato – o mandato – a difendere gli interessi del partito? Cinese, si intende.
Certo. Guardando la lista dei nomi, non si può non notare un overlapping delle persone finanziate dai servizi segreti francesi con quelle al servizio dei cinesi. Però la nostra intelligence sa tutte queste cose. Adesso il punto è un altro.
Quale?
Bisogna capire se sia meglio sbandierare l’infiltrazione cinese in Italia o aspettare che Draghi agisca a modo suo, comportandosi con la Cina nello spazio già concordato con Biden.
Secondo lei?
Draghi ha un suo metodo nel fare compromessi. È un approccio raffinato, ricorda Andreotti. Il suo dialogo con la Francia vuol dire che riparleremo del Trattato del Quirinale? Io non credo.
Il governo rischia?
No, ma dobbiamo evitare una guerra civile. Abbiamo bisogno di una tregua. Mi fido della capacità di Draghi e di alcuni funzionari che lo accompagnano di mettere il coperchio su questa pentola.
I rischi maggiori vengono dal Pd o dai 5 Stelle?
Nei 5 Stelle ci sono anche persone competenti che si sono trovate nel partito sbagliato. Lo sanno, privatamente lo ammettono e non vedono l’ora di andarsene. Il problema è il Pd. E Pd vuol dire Quirinale.
Come andrà a finire?
Sarà l’Ue a stabilire il livello delle relazioni commerciali con la Cina, perché ha la delega degli Stati a farlo. Noi dobbiamo far dimenticare un errore drammatico. Anche la Germania dovrà farlo; l’accordo Cai verrà ricalibrato, ma solo dopo le elezioni tedesche.
(Federico Ferraù)
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