“Amur de fredei, amur de curtei”: il vecchio detto brianzolo (amore di fratelli, amore di coltelli) calza appieno nella saga dei Caprotti. Ce la racconta, con ampio sfoggio di particolari, Giuseppe Caprotti, figlio di Bernardo tra i fondatori di Esselunga, nel suo libro Le ossa dei Caprotti.

Il libro vuole essere una sorta di riscatto morale e professionale perché racconta la verità di Giuseppe sui fatti famigliari e su quelli aziendali.



Si comincia con la nascita di Esselunga. Siamo nell’immediato dopoguerra. James Hugh Angleton e la Ibec di Nelson Rockfeller, tramite il suo braccio destro Richard Boogaart, per aprire alcuni supermercati a Milano si affidano ai contatti dei fratelli Crespi (editori del Corriere della Sera) e di Marco Brunelli come azionisti di minoranza nella nuova società. Brunelli proporrà poi a Rockfeller di far entrare come azionisti anche Bernardo, Claudio e Guido Caprotti. Dopo il loro ingresso comincia una lunga battaglia che vedrà Bernardo diventare l’unico proprietario di Esselunga con i relativi strascichi giudiziari.



Comincia così la grande avventura del supermercato con la S lunga, logo realizzato dall’architetto Norman Foster. Una storia lunga che va in parallelo con le vicende della famiglia Caprotti dal luglio 1952 ai giorni nostri. C’è di tutto: litigi, discese ardite e risalite, corna e bicorna, soldi tanti soldi, ripicche e vaffa a ripetizione.

Ma quello che emerge con più virulenza è la figura del padre Bernardo. Che viene descritto come: ingrato, violento, ossessivo, anaffettivo, assetato di potere, iroso, traditore, razzista. A conferma di tali giudizi riporto di seguito, a mo’ di esempio, una serie di virgolettati tratti dal libro.



Perché ingrato? Nonna Marianne aiutò i tre fratelli Caprotti, con 300 milioni di lire, nell’acquisto del 51% della Supermarket Holding SA, la futura Esselunga: “… ottenendo in cambio una promessa di rimborso che non verrà mai ottenuta”.

La parola violenza viene ripetuta più volte: “L’ultima parte della vita della nonna fu particolarmente triste. Le continue e violente liti con nostro padre la costrinsero a traslocare… finendo ai margini della vita famigliare”. Non è una violenza fisica. Ad esempio, non picchierà mai la moglie Giorgina: “Ma la violenza e le umiliazioni possono passare anche attraverso le parole, capaci di colpire come fossero pietre”.

L’ossessione sembra far parte della vita di Bernardo: “L’ossessione di un uomo che vuole mantenere il continuo controllo su ogni respiro della giovane moglie (Giorgina, sposata quando lei aveva 17 anni)”.

Ma come si comportava Bernardo con i suoi figli? “Mai un abbraccio o una carezza. Non pronuncia mai parole di apprezzamento: l’ironia che è il suo punto forte si trasforma spesso in sarcasmo”.

A Bernardo, sempre secondo Giuseppe, non interessano i soldi: “A lui il denaro serve per esercitare il potere… Nostro padre gode nel veder sbiancare i dipendenti negli uffici che frequenta”.

Ci si stupisce inoltre quando Giuseppe cita un particolare della vita del padre. Il loro palazzo di via del Lauro a Milano è vicino alla Scala. Spesso, quando ci sono eventi importanti, molte auto vengono lasciate in modo scomposto davanti alla loro casa. Ecco allora che: “Passa alla giustizia fai da te. Quando qualcuno parcheggia davanti al portone va giù di persona e gli taglia le gomme”. Pensare a Bernardo Caprotti con il coltello fra i denti che scende incazzato a sistemare lui le cose, fa sorridere.

Difficili e problematici sono poi i rapporti con i fratelli Guido e Claudio. I due dapprima si allontanano ma poi: “Mettono insieme i pezzi e si accorgono di essere stati ingannati da Bernardo”. Che attua: “Un pluriennale disegno per mettere sul lastrico, silenziosamente e in letizia, entrambi i suoi fratelli e le loro famiglie”.

Quando poi il figlio Giuseppe decide di andare a imparare il “mestiere” negli Stati Uniti così lo saluta: “Fammi un favore, non tornare con una negra”.

Potrei continuare ancora, ma mi fermo qui. Doveroso anche citare alcuni passaggi in cui Giuseppe ammette comunque il lato imprenditoriale del padre: “Mostra grandi capacità di organizzazione e gestione industriale… l’uomo che ha introdotto in Italia la filiera corta… introduce il primo centro Edp per la gestione del magazzino… surclassa i concorrenti in termini di efficienza e razionalizzazione… compie lo sviluppo dei suoi supermercati con molta intelligenza”.

Ma il capitolo più doloroso, e la madre di tutte le successive battaglie legali, è quello dedicato alle Mercedes nere. Siamo nei primi giorni del 2004. Giuseppe è stato nominato amministratore delegato di Esselunga. Ma al padre non piace come sta andando l’azienda. Bernardo convoca una riunione di quadri e dirigenti. Ma non c’è nessun meeting: “Tre dirigenti, il direttore del personale e altri due vengono mandati via”. Un autista li accompagna nei loro uffici, gli fa lasciare sul tavolo le chiavi della macchina aziendale e li accompagna a casa con la Mercedes. Ma sono tre. Nel piazzale ne rimane una. Dopo poco se ne va via vuota. Giuseppe va nell’ufficio del padre e chiede se la quarta Mercedes era per lui. Bernardo risponde ridendo. “Non ancora”.

Si comprende dunque cosa ci sia dietro la pubblicazione del libro: la voglia di rivalsa per essere stato ingiustamente, a suo dire, defenestrato; il desiderio di rifarsi una verginità raccontando la sua versione dei fatti; il senso di giustizia per essere stato accusato ingiustamente di malefatte.

Ma Bernardo è sempre suo padre. Un uomo che ha permesso al figlio di passare una giovinezza spensierata (Forte dei Marmi, St Moritz, castello di Bursinel in Svizzera), studiare alla Sorbona, viaggiare nei posti più belli del mondo, soprattutto avere una rendita che permette a Giuseppe, ai suoi figli, nipoti e pronipoti di vivere agiatamente e senza problemi. Aggiungo che oggi la sua dimora è ad Albiate (MB) in una bellissima villa di famiglia circondata da un parco secolare.

Ecco allora che forse il perdono sarebbe stato il sentimento giusto per seppellire liti e discordie. Non il rancore. La poetessa Alda Merini scriveva: “La migliore vendetta è vivere felici”.

Anni fa, su una mia pubblicazione, scrissi un lungo articolo ricordando l’origine del contrasto tra i fratelli e il padre, raccontando quanto era successo in Esselunga nel 2004 con la vicenda della quattro Mercedes. Accanto al pezzo c’era un breve editoriale dal titolo: “L’imprevisto”. Raccontavo la storia di un padre, Bernardo Caprotti, e dei figli. E chiudevo così: “Non sempre ciò che pensiamo e organizziamo per i nostri figli accade. L’imprevisto è dietro l’angolo. Ma è un bene. Non un male. Ci richiama al dato che la vita non è nelle nostre mani. Ma in quelle di un Altro”.

Bernardo Caprotti ne volle cinque copie.

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