Egregio direttore,
la sanità non è un campionato di calcio o di qualsiasi altro sport, e nemmeno una corsa di macchine o di moto dove vince chi arriva primo. Comprendo che le classifiche fanno sempre notizia e scatenano i/le fan delle diverse parti, ma non solo non è la mia visione della sanità (il che può non interessare), ma è una visione totalmente sbagliata.



L’occasione pratica che mi ha portato a questo giudizio negativo è la recente pubblicazione, da parte di Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), dell’ultimo rapporto prodotto dal Programma nazionale esiti (Pne), programma che ha l’obiettivo prevalente di valutare le performance, in termini di volumi di attività erogata, di indicatori di processo e di esito delle cure, delle attività (se non tutte almeno una parte) effettuate dalle strutture di ricovero (ospedali) del nostro Paese. Quest’anno (Report 2023, su dati 2022 e anni precedenti) sono state sottoposte a valutazione quasi 1.400 strutture tra pubbliche e private accreditate, usando 195 indicatori.



In questi giorni si sono riempite pagine e pagine di carta (a tutti i livelli: nazionale, regionale, locale), e altrettanto per gli altri tipi di media, per dire chi è l’ospedale che si è classificato come primo o come secondo, o chi sono gli ultimi della classifica (classifica per altro dove non è contemplata la retrocessione): è uno sport che non mi piace e che ho già criticato quando, prima dell’estate, sono state pubblicate diverse classifiche riferite quella volta non agli ospedali ma alle sanità regionali.

Pur avendone molto da dire non intendo qui discutere il metodo utilizzato (le stesse, o analoghe, critiche si potrebbero rivolgere ad altri metodi) e neppure i limiti che ha l’approccio adottato dal Pne che sopravvaluta alcune aree (esempio: le chirurgie, la cardiologia) e ne trascura altre (esempio: le medicine, l’assistenza territoriale): mi interessa il messaggio complessivo che viene sollecitato e acriticamente assunto e diffuso dai media, e per non correre il rischio che qualcuno pensi che le mie critiche siano motivate dall’avere trovato (o non trovato) qualche specifico ospedale in testa o in coda evito esplicitamente di fare nomi.



Fino a qualche anno fa il sito web del Pne avvertiva che i dati forniti da Agenas non devono essere usati per fare classifiche, avvertenza purtroppo oggi scomparsa, e se poi aggiungiamo che il Direttore dell’Agenzia (almeno così ho appreso dalla stampa visto che non c’ero alla presentazione del rapporto) esplicitamente afferma che “è passato il tempo di non fare classifiche” allora, come si suol dire, “casca l’asino” e siamo di fronte a una vera e propria classifica ospedaliera.

La classifica induce necessariamente dei confronti: i più tipici sono tra nord e sud e tra pubblico e privato. La classifica dà fiato alla propaganda e alla polemica (politica, locale, di settore). La classifica mette in competizione le singole strutture tra di loro anziché valorizzare il loro insieme, il sistema. La classifica centrata esclusivamente sulle attività ospedaliere trascura esplicitamente altri contesti (prevenzione, assistenza territoriale, assistenza socio-sanitaria).

Sono questi i messaggi che serve indirizzare al servizio sanitario? Aggiungo che questa edizione del Pne prefigura l’idea che la valutazione possa passare dal livello di struttura a quello di reparto, poi a quello dell’equipe per arrivare infine al singolo professionista. È una prospettiva adeguata e desiderabile? La cura di qualità (o di cattiva qualità) è frutto del colpo di genio del singolo o è l’esito di un’organizzazione che inizia (e prosegue) anche fuori dall’ospedale?

Non ho niente di personale né contro chi arriva primo (o tra i primi), né contro chi arriva ultimo: mi piacerebbe però che tutti arrivassero primi e nessuno ultimo (anche se capisco che potrebbe non essere tecnicamente possibile) perché sarebbe il segno di una sanità ospedaliera eccellente e desiderabile, in tutte le strutture e in tutti i territori. Mi piacerebbe che invece che stimolare la competizione e la propaganda la valutazione porti alla collaborazione e alla costruzione di legami. Mi piacerebbe che il Pne fosse utilizzato per promuovere attività di miglioramento della qualità del servizio erogato perché la valutazione ripetuta ha senso se non è un esercizio fine a se stesso, ma induce e provoca il cambiamento, anche se questo ha bisogno di tempo e di risorse.

E proprio il cambiamento è un altro punto dolente che vorrei trattare. Nella maggior parte dei risultati presentati nel rapporto non si registra un miglioramento della valutazione rispetto a rapporti precedenti: sono pochi e sporadici gli esempi positivi, ci sono ma vanno scovati con il lanternino all’interno di un contesto che registra calma piatta, che però non è indice di eccellenza, ma, per troppe strutture, di mediocrità.

E mi piacerebbe, anche se lo dico con dispiacere e rispetto per chi vi lavora dentro, che le strutture che ripetutamente presentassero delle criticità rilevanti siano forzate a cambiare passo oppure, qualora le criticità risultassero insanabili, fossero convertite ad altre attività e funzioni.

Da ultimo, mi preoccupa il numero elevato di strutture (oltre 400) per le quali la scarsa numerosità degli eventi trattati non ne ha permesso la valutazione, segno di una frammentarietà della rete di erogazione (nonostante le indicazioni del Dm 70/2015) che non fa ben sperare su un’adeguata qualità delle prestazioni erogate.

Mi auguro che coloro a cui compete prendano in seria considerazione i risultati del rapporto così da fare in modo che la prossima valutazione segni un cambio di passo e che registri in maniera importante quel miglioramento della qualità delle prestazioni erogate che oggi fa fatica a emergere e che rappresenta l’obiettivo vero del Pne.

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