C’è stato persino il pericolo pacco bomba oggi pomeriggio, a 500 metri dal teatro Ariston, un pacco che forse è stato un gesto dimostrativo ma che non avrebbe causato alcun danno; per non farsi mancare nulla in questa settimana sanremese. Amadeus però non dà alcun peso all’evento, lo accenna volante, tanto che si inizia con Gianni Morandi che entra in abiti sportivi, in vista della Maratona canora che, ieri e come oggi, prevede tutti e 28 i cantanti in gara alle prese con cover e duetti. Co-conduce assieme ai due presentatori Chiara Francini, attrice brillante esperta e a suo agio con i duetti o i trii, le gag, le canzoni e i monologhi, le presentazioni e gli equivoci, con una verve fantastica e un gioco sugli abiti da diva ironica: la prova famigerata del monologo, dedicato al complesso rapporto di ogni donna con la maternità, ne è l’emblema. La migliore delle conduttrici di queste serate.



È la serata più votata allo spettacolo, a far divertire, stupire ed emozionare il pubblico, in cui la componente visiva e pop della kermesse, che già in questi anni ha ampliato la propria portata grazie all’influenza di X-Factor ed Eurovision per quanto riguarda la cura di coreografie e scenografie. È la serata più vicina all’etica del concerto: divertirsi e divertire, con il pubblico in primo piano, e in buona.



Qui però casca l’asino ed è la questione televisiva: per costruire uno spettacolo così, costituzionalmente diverso da quello delle restanti quattro serate, anche il comparto delle immagini deve cambiare, il modo in cui le telecamere pensano e riprendono la scena. La regia di Stefano Vicario non riesce a fare questo cambiamento, sbagliando le inquadrature, non dando il giusto rilievo ai momenti più spettacolari delle esibizioni, sacrificando il lavoro di certi duetti, dei coreografi, dei ballerini o dei cori.

Le pagelle della serata cover del Festival di Sanremo 2023

Breve nota metodologica sulle votazioni per la serata delle cover e dei duetti: il voto sarà dato alla performance, ovviamente, ma anche alla scelta artistica della canzone e dell’artista con cui duettare, cercando di premiare il coraggio. Un voto in meno a chi sceglie di auto-omaggiarsi.



Ariete e Sangiovanni (Centro di gravità permanente, Franco Battiato): una delle canzoni più trascinanti del pop degli ultimi 50 anni diventa un pezzettino leggerino e sfiatatino; il pubblico dovrebbe saltare, si limita a battere il piedino, specie per l’arrangiamento orchestrale e nonostante l’accenno visivo alla copertina di La voce del padrone. E la sala stampa ulula all’inadeguatezza vocale di Sangiovanni. 5

Will e Michele Zarrillo (Cinque giorni, Michele Zarrillo): va sul sicuro il ragazzo, ballatona che è un monumento sanremese assieme al suo autore, senza reinterpretazioni musicali. È però la voce di Will a non essere adatto a un pezzo che necessita di corde vocali tonanti (quelle di Zarrillo, qui anche troppo). Però il pezzo funziona comunque. 6-

Elodie e Big Mama (American Woman, The Guess Who): un pezzo di puro rock americano – finalmente – riarrangiato col funk, col rap, con l’erotismo sfacciato e l’auto-consapevolezza dei corpi femminili. Uno spettacolo che la Rai prova a edulcorare “censurando” il bacio tra le interpreti. 8

Olly e Lorella Cuccarini (La notte vola, Lorella Cuccarini): versione dance con cantato rap del classico tv anni ’80, Olly aggiunge testo in autotune e Cuccarini canta, balla, trascina il corpo di ballo. Musicalmente avrebbero però dovuto spingere un po’ di più, ma in platea e in sala stampa si è apprezzato. 6+

Ultimo e Eros Ramazzotti (Medley Eros Ramazzotti): del Ramazzotti prima maniera, Ultimo è un erede, per cui il duetto funziona, specie per lo spirito da karaoke di lusso, con Ramazzotti che non si ricorda le parole di Un’emozione per sempre (Varrà per il FantaSanremo?) e tutti a cantare insieme. Mossa furbissima di uno progettato per vincere, rappresentate supremo dello spirito nazional-popolare del festival, anche – o forse proprio perché – Ramazzotti al ragazzo romano se lo mangia in un attimo. 6

Lazza, Emma e Laura Marzadori (La fine, Nesli): il pezzo è uno dei capolavori dell’hip-hop contemporaneo, tanto da essere diventato anche parte del repertorio di Tiziano Ferro, che Lazza adatta al suo stile, a cui aggiunge il tocco del primo violino della Scala, i cui contrappunti sono un po’ pleonastici. È Emma a sembrare un’intrusa, scambiando la sua greve verve per la grinta che serve al pezzo. Insomma, era meglio se la faceva solo. 6-

Tananai (Vorrei cantare come Biagio Antonacci, Simone Cristicchi + Sognami, Biagio Antonacci): la scelta del pezzo è geniale, l’idea di far intervenire il vero Antonacci è un tocco di ironica classe, peccato che poi parta una delle peggiori canzoni del cantante milanese e il tocco di follia diventa pop corrivo e innocuo. 5,5

Shari e Salmo (Hai scelto me + Diavolo in me, Zucchero): strano accostare Salmo, uno dei rapper di maggior successo in circolazione, alla musica di Zucchero, ma è una scelta che si rivela vincente, visto che il funky-blues permette a lei di liberarsi e a lui di dare una prova di grinta e ritmo davvero sorprendente (oltre che a restituire il microfono rotto sulla nave). E che bello vedere un batterista scatenato su quel palco. 7

Gianluca Grignani e Arisa (Destinazione Paradiso, Gianluca Grignani): chiodo punk a stonare pure il suo brano più celebre, mentre lei è elegant-sexy come nei tempi recenti, come due mondi che collidono senza collimare. Il meglio sono i due direttori, Melozzi e Vessicchio (accolto da standing ovation in sala stampa) che dirigono all’unisono anche la platea. 5,5

Leo Gassmann e Edoardo Bennato con il Quartetto Flegreo (Medley, Edoardo Bennato): portare Bennato sul palco dell’Ariston è una scelta degna di merito, specie farlo esordire con una delle sue canzoni meno note, seguita da due cavalli di battaglia. Le canzoni sono belle, il duetto funziona come l’aggiunta del quartetto d’archi che occhieggia rock a Rolling Stones e Deep Purple e il finale col Rock di Capitan Uncino lascia il segno: tutti in piedi, come è giusto. 7,5

Articolo 31 e Fedez (Medley, Articolo 31): un repertorio da festa e stadio praticamente perfetto, riarrangiato per terremotare l’Ariston e far cantare la sala stampa, un cambio di pezzo e ritornello ogni 8 battute e una tenuta del palco da veri professionisti, con Dj Jad che si diletta persino nella break-dance. Però è troppo facile farlo come in un proprio concerto, senza il rischio che corrono gli altri. 6,5

Giorgia e Elisa (Luce + Di sole e d’azzurro): Giorgia cala l’asso pigliatutto per scelta dei brani e del duetto, puntando sulle voci e le interpretazioni, senza alcuna voglia di rischio ma salendo un po’ in cattedra. Così si canta, prendete appunti, sembrano dire: ok, va bene, lo facciamo e ammiriamo, ma ci si permetta di preferire, in una serata simile, di preferire un altro spirito. Se fosse The Voice capiremmo, così ci arrendiamo al tripudio generale. 6,5

Colapesce & DiMartino e Carla Bruni (Azzurro, Adriano Celentano): ecco due che hanno intenzione di fare qualcosa con la musica, che hanno un vero senso completo della loro performance. Arrangiamento intelligente e spiritoso, ma vivo, terzetto improbabile e calibratissimo anche esteticamente, con la donna più elegante che vedremo oggi e due scalcagnati di classe: e poi, hanno scelto IL pezzo nazional-popolare per definizione, che tutti cantano, anche gli amanti della musica alta. Che geniacci. 8

I Cugini di Campagna e Paolo Vallesi (La forza della vita, Paolo Vallesi + Anima mia, I Cugini di Campagna): perché rovinare l’operazione evolutiva partita con la canzone della gara portando l’unica canzone degna di nota di una carriera, come se non avessero composto altro, come se non sapessero suonare altro? Vallesi e l’orchestra si salvano dall’atmosfera da sagra. 4,5

Marco Mengoni e Kingdom Choir (Let It Be, The Beatles): uno dei più grandi pezzi della storia del pop come un brano gospel insieme al coro, scelta di classe e di efficacia. Mengoni in grande forma, l’orchestra reagisce alla bravura del coro da par suo facendo onore alla sezione fiati che nei brani in gara, praticamente non sentiamo più. Applauso naturale. 8-

gIANMARIA e Manuel Agnelli (Quello che non c’è, Afterhours): portare all’Ariston (dopo anni) un grande talento, leader del più grande gruppo rock italiano, facendogli cantare una delle sue canzoni più belle merita rispetto e supporto. Certo, va detto che il giovane cantante in gara è inadeguato al pezzo e al confronto con un gigante che è sempre strepitoso. 6,5

Mr. Rain e Fasma (Qualcosa di grande, Lunapop): non una semplice cover, ma usarne lo scheletro armonico per costruire un pezzo autonomo, con stralci della canzoni che riappaiono. Il brano è ridondante ed enfatico nell’arrangiamento e nelle scelte sonore e continuiamo a non capire dove si trovi il talento di Mr. Rain. 5+

Madame e Izi (Via del campo, Fabrizio De André): canzone meravigliosa, cantata e messa in scena con rispetto, scelta anche in continuità con il pezzo che Madame porta in gara, che parla come il brano di De André di una prostituta; bravi, giusti e a loro modo intensi. 7,5

Coma cose e Baustelle (Sarà perché ti amo, Ricchi e poveri): un pezzo pop ormai divenuto classico irresistibile a cui i due gruppi danno una veste più elegante, ma meno sincera e genuina. Si divertono loro e quel tipo di suono dà modo di sperimentare con gli stili, ma qui sembrano andare un po’ al risparmio. 6+

Rosa Chemical e Rose Villain (America, Gianna Nannini): pezzo di auto-determinazione sessuale ideale per l’artista, che porta con la collega in scena l’erotismo, persino il feticismo e un rock pulsante che sfocia nell’hard. Trascinanti. 8-

Modà e Le vibrazioni (Vieni da me, Le vibrazioni): due band affini, tra rock e neo-melodia, si trovano, si riconoscono e si sposano con profitto, con tanto di intervallo quasi prog. Il pezzo è ottimo per la platea e loro si divertono, tutti insieme, anche il pubblico; magari è musica “di bocca buona”, ma in certi contesti va bene così. 6+

Levante e Renzo Rubino (Vivere, Vasco Rossi): inno rock che si tramuta in ballata pianistica cucita sulle corde vocali della cantante siciliana. Poi il pezzo diventa più vicino all’originale, ma ha giustamente cambiato suoni per farla sua. Ci riesce alla grande, l’interpretazione è molto intensa e convincente, Rubino accompagna al brano, ma poteva esserci lui o chiunque altro. 7+

Anna Oxa e Iljard Shaba (Un’emozione da poco, Anna Oxa): accompagnata da un dj e violoncellista albanese, tramuta il proprio classico per eccellenza in un pezzo che a metà diventa una roba di gorgheggi strepitosi, suoni avanguardistici su dritta base pop-rock. Incomprensibile, quasi più auto-sabotatrice di Grignani, ma onore al coraggio. 5,5

Sethu e BNKR44 (Charlie fa surf, Baustelle): gran pezzo del gruppo di Bianconi che viene riproposto con intelligente fedeltà, ma non troppo, e con una grinta di suoni e presenza sul palco che pare aria fresca. Buttano le sedie in aria, saltano, corrono e iniettano energia. 7,5

LDA e Alex Britti (Oggi sono io, Alex Britti): la scelta – e la combo – più defilippesca della serata ha almeno un vantaggio, ossia mostrare tutta l’inconsistenza del presunto talento di LDA, che pare un pesce fuor d’acqua quando canta e uno dei troppi quando “rappa”. Pensare che questa canzone l’ha cantata Mina, prima di LDA, mette un po’ di mestizia. 5

Mara Sattei e Noemi (L’amour toujours, Gigi D’Agostino): la scelta più folle e insensata di tutto il lotto, due cantanti più o meno tradizionali alle prese con il pezzo techno più famoso degli ultimi 20 anni che diventa un brano cangiante e inafferrabile, che non posta mai quando e come potrebbe, anche se Noemi era decisamente a suo agio. Onore al coraggio, ma sa un po’ di occasione persa. 6

Paola e Chiara con dj Merk e Kremont (Medley, Paola e Chiara): le prove generali del loro tour e del rilancio per l’estate, balli di gruppo, campionamenti a caso ma ottimi per piazzarsi in zona Pride, note steccate con facilità impressionante, Chiara che procede con disinteresse e rimaneggiamenti dei propri brani molto discutibile a essere buoni. Forse il punto più basso della serata. 3

Colla Zio e Ditonellapiaga (Salirò, Daniele Silvestri): un pezzo irresistibile che il gruppo soffre quando è tenuto sotto traccia, ma che poi esplode nella sua carica di energia disco music. Va però detto che a tenere in piedi tutta l’interpretazione è la carica sensuale e l’interpretazione comunicativa di Ditonellapiaga. 6,5

Gli Ospiti della serata cover di Sanremo 2023

La serata parte quasi subito con Peppino Di Capri, che festeggia il premio alla carriera della città di Sanremo cantando Champagne al piano, come da quel crooner romantico che è sempre stato, una delle sue due anime a cui alternava quella di cantante twist. Voce rotta dall’età ma spirito e sorrisi bellissimi.

Sul Suzuki Stage oggi toccava a La rappresentante di lista, talenti unici del pop italiano e ci permettiamo di dire anche internazionale, che hanno suonato Diva e il successo dello scorso anno Ciao ciao; livello differente, ma paladini delle piste da ballo, Takagi e Ketra, produttori di alcuni dei più clamorosi successi dance degli ultimi anni, che hanno “suonato” dalla nave da crociera sponsor.

Rispetto agli altri attori del momento fiction, gli attori giovani di Mare fuori, la fiction Rai più seguita e amata dai ragazzi, dimostrano una freschezza e una vitalità che gli autori, per fortuna, decidono di non ingabbiare con gag stantie.

La classifica generale di Sanremo 2023

Vince la serata il gospel di Marco Mengoni col Kingdom Choir, lanciando il cantante verso un trionfo scontatissimo nella finale di domani; secondo Ultimo con Ramazzotti e terzo Lazza con Emma. A sorpresa, a nostro avviso immeritatamente, c’è il quinto posto di Mr. Rain con Fasma, mentre altrettanto a sorpresa è il quarto posto di Giorgia ed Elisa, che in tanti in sala stampa davano per trionfatrici.

Tutto questo significa che nella classifica generale Mengoni sia dominatore assoluto, precedendo Ultimo, Lazza, Mr. Rain e Giorgia. Tutto domani ripartirà da qui, in attesa di conoscere il vincitore di Sanremo 2023.