Pronti per le pagelle della terza serata del festival di Sanremo 2023, quella torrenziale in cui risentiamo tutte le canzoni – ventotto – in gara, per cui lo spettacolo è più compresso nel ritmo, anche se dura almeno mezz’ora in più. Apre Morandi, a cui viene dato sempre più spazio senza mettergli pressione, come quando assieme a Sangiovanni canta una versione riveduta e corretta di Fatti mandare dalla mamma, con tanto di balletti a base di bottiglie di latte; affianca alla conduzione una statuaria Paola Egonu, elegantissima come una scultura classica, anche per l’abito e anche sufficientemente disinvolta come conduttrice, finora la migliore, spontanea e simpatica e precisa, anche nel monologo, blando ma sincero.



Una serata di transizione e ricapitolazione di canzoni e tendenze, uno spettacolo tutto musicale, per fortuna, ma con tante canzoni in gara è difficile fare altrimenti.

Gli ospiti della tera serata a Sanremo 2023: i Maneskin da standing ovation

Anzitutto, extra-pagelle della terza serata del Festival di Sanremo 2023, i super ospiti della terza serata. Sono la nostra gloria nazionale, il fenomeno che ha portato il rock italiano, o almeno la sua versione lucidata per l’esportazione, in giro per il mondo: i Maneskin. Con tutti i loro limiti, sono l’unico gruppo che suona chitarre compresse e più o meno pesanti che ancora vende dischi nel mondo, che ha riportato la stessa parola ‘rock’ sulle bocche di un pubblico generalista; ma poi, anche solo per aver portato a Sanremo, un gigante come Tom Morello (chitarrista rivoluzionario che ha reso grande una band come Rage Against the Machine), non possiamo non applaudirli.



Dal Suzuki Stage, Annalisa canta Bellissima che è un travolgente pezzo pop, peccato sia l’unica a cantare in playback; mentre torna Massimo Ranieri che, dopo aver cantato un trascurabile pezzo inedito, presenta un nuovo spettacolo con Rocio Muñoz Morales, Gli italiani hanno sempre ragione, che andrà in onda da maggio.

Le pagelle della terza serata di Sanremo 2023: i voti delle esibizioni dei cantanti

Paola e Chiara (Furore): scendono imbrillantinate sul volto e sul corpo, sempre più dichiaratamente in versione Eurovision. Cantare per prime le aiuta, ma non è la voce che si chiede a un pezzo simile, si chiede la performance, lo spirito pop. E quello non manca, se piace il genere. 6



Mara Sattei (Duemilaminuti): ancora elegante, ma più scafata e disinvolta, la voce stasera è meno piena ed efficace (si potrebbe fare ironia sul fatto che il brano giochi sulla perdita della voce) e la canzone mostra la sua banalità nonostante il testo cerchi di affrontare il tema dell’amore violento e tossico. 5

Rosa Chemical (Made in Italy): rispetto a tutti, o quasi, gli esponenti del movimento rap, trap o affini che sono sul palco di Sanremo, non concilia la propria identità alla platea Rai né a quella dell’Ariston, porta se stess* e la sua voglia di gioire e ballare, nemmeno di scioccare come fa Achille Lauro, ma di godere della propria visione del mondo e del sesso. Dopo Sattei sembra il peccato dopo la confessione il pubblico gradisce. 6,5

Gianluca Grignani (Quando ti manca il fiato): non sente la sua voce in cuffia e invece di spaccare il palco, si ferma, ammette l’errore e riparte: “A 50 anni ho imparato a fare ste cose, a 20 non lo avrei saputo fare”. E il pezzo, a livello emotivo è poderoso, cantato, anzi interpretato meglio dell’esordio, con tutta la rabbia e il rimpianto di cui è capace, sostituendo la grinta con la tecnica: un ufo in mezzo a concorrenti pensati per sedurre il pubblico. 7+

Levante (Vivo): la platea comincia a entrare nel mood di un pezzo tanto intimo quanto estroverso, dance cantautorale che pare un ossimoro ma che lei sa incarnare con grinta e intelligenza. É un pezzo live, più che da teatro, per saltare e cantare “per la propria liberazione”. Interpretazione ancora più centrata ed espressiva dell’esordio. 8

Tananai (Tango): ormai ha vestito con intelligenza sorniona la nuova veste. Certo, è diventato un cantante convenzionale, forse, ottimo per Sanremo di cui è già la sorpresa, però sembra proprio l’esempio perfetto di capitalizzazione degli errori. E poi ha trovato l’immagine poetica del festival: l’amore tra le palazzine a fuoco. 6+

Lazza (Cenere): la base da club house, il campionamento, I bassi ci dicono che Dardust ha composto una delle musiche migliori del festival, Lazza è più a suo agio, non urla ma canta finalmente e non mangiandosi le parole permette di scorgere un testo non banale. E poi ringrazia la mamma in platea, apoteosi del gusto nazional-popolare che permette al pubblico più maturo di apprezzare come i giovani 6.5

LDA (Se poi domani): “Queste immagini continuano a uccidermi” canta, ma sono immagini talmente blande e risapute che andrebbero bene in un tema delle medie, non in una canzone che gareggia a Sanremo, tipo il cuore di sabbia con le iniziali. Non è però il solo problema di un pezzo che pare uscire dai peggiori festival anni ’90, quando i giovani imitavano i vecchi. Pezzo che con gli ascolti peggiora. 4-

Madame (Il bene nel male): incredibilmente a proprio agio nel nuovo mood in cui uno stile vocale sempre più maturo, ma fedele alla propria radice, si sposa con look seducente e atteggiamento più sfacciato, una diva pop esplosa da una conchiglia di imbarazzo post-adolescenziale. Un cambiamento che però ha portato a una canzone dal bel testo, l’andamento pulsante, il ritornello che si appiccica. 7+

Ultimo (Alba): beniamino della platea del festival di Sanremo, oggi comincia il pezzo al pianoforte e cerca di gestire con più controllo il crescendo e la tensione del pezzo, però poi si limita a urlare, a gridare a perdifiato e rende volgare un pezzo che per struttura e cura sonora – anche grazie all’orchestra – sarebbe una spanna sopra lo standard di Ultimo. Più coraggio nell’abbandonare il già noto lo aiuterebbe a crescere. 5,5

Elodie (Due): piaccia o meno, è il pop nostrano nella sua forma più internazionale, che porta a compimento un movimento (di cui fa parte anche Annalisa) oltre che un percorso. Il pezzo è pensato, prodotto e cantato con stile e cura, se non memorabile di sicuro efficacissimo. 7-

Mr. Rain (Supereroi): la roba più ruffiana dell’intero festival, già la melodia lo sarebbe ma poi quei bambini sono veramente oltre ogni tasso di glucosio. Orecchiabile fino all’ossessione, ma vuota, purtroppo. 5

Giorgia (Parole dette male): un pezzo che migliora con gli ascolti e migliora lei stessa nell’interpretarlo, a suo agio nel vestito nero elegantissimo. Il pubblico la adora, anche se il brano non è tra le sue vette e ha alcune scelte di struttura e arrangiamento che lo rendono piuttosto lontano dai “bisogni” del festival. 6

Colla Zio (Non mi va): un funky frivolo e leggerissimo che loro non cantano al meglio, ma lo intepretano col divertimento giusto, come una boy band che non se la tira manco per un istante. In sala stampa, con una canzone inedita, ci hanno dimostrato di avere di meglio nel repertorio, ma il premio simpatia è loro. 6-

Marco Mengoni (Due vite): è il vincitore annunciato e a sentirlo dal vivo si capisce perché, il pezzo fa il suo dovere come il suo interprete (in formissima), ma continuiamo a chiederci perché sprecare l’andamento così possente delle strofe sia spento dal ritornello che più sanremese non si può. Però la doppia standing ovation, tra platea e sala stampa, parla chiaro. 6+

Colapesce e DiMartino (Splash): all’inizio DiMartino tentenna, ma ormai sono rodatissimi, il pezzo va che è un piacere, la musica, il testo, il tono ironico e malinconico del brano sono infallibili, lo canti e lo balli. Il pop d’autore a suo modo perfetto, anche nella resa vocale della seconda parte. 7,5

Coma Cose (L’addio): “Il nostro fuoco l’hanno visto tutti” e per fortuna continuiamo a vederlo, dopo che hanno dichiarato di volersi sposare con tanto di anello di fidanzamento. Un pezzo delicato e tenero, che vive della loro intesa e del modo di dargli forma sul palco: California poi è di un’espressività mimica e fisica davvero encomiabile. 7+

Leo Gassmann (Terzo cuore): fisico imponente in canottiera bianca come Brando, pezzo che comincia come She Loves You di Justin Bieber, prosegue come altri due o tre pezzi pop e finisci con un cantato tra Ultimo e Le vibrazioni. Dell’originalità al pubblico frega poco, buon per lui. 5,5

I cugini di campagna (Lettera 22): pezzo davvero bello, denso e ispirato, nei suoni e nelle armonie, che la loro presenza però trasporta nel camp. Le paillettes, le tastiere a tracolla, il fatto di non suonare ma fare finta rischiano di distogliere dalla canzone. Siccome però è quella a partecipare, ed è interpretata a modo, non possiamo che esserne contenti. 7+

Olly (Polvere): tra cantilena e coro da stadio, come molto pop giovane odierno, ma nessuno si scalda e il pezzo scivola via proprio come la polvere del testo. 5

Anna Oxa (Sali): trasuda sarcasmo e fa di tutto per inimicarsi pubblico e stampa, con un cantato estremo, tra ridicolo e avanguardia. Ma il pubblico non lo sa e applaude un pezzo interessante nelle sue crepe. 6+

Articolo 31 (Un bel viaggio): hanno il momento musicale forse più brutto del festival, lo special con coro a doppiare le parole di J-Ax, ma il pezzo è efficace nel sottolineare la nostalgia del passato per un pubblico nostalgico. È un pezzo deludente, ma i fan apprezzano. 5,5

Ariete (Mare di guai): è tenerissima nella musica, nell’immagine, nella voce, lo è il pezzo e i suoi contenuti che oggi interpreta meglio del debutto. La canzone però non ha molto da dire fuori dal target. 6-

Sethu (Cause perse): la canzone sembra fatta a posta per l’ultimo posto, ma ha un tiro e un ritmo unici e un senso di disperazione che, a volerlo cogliere, s’insinua sotto pelle. Lui poi padroneggia benissimo il palco col fratello gemello chitarrista. 6+

Shari (Egoista): latex rosso dopo il giaguaro, cerca un look sempre più sfacciato e “cafone” mentre il pezzo cerca suoni sofisticati, anche nel cantato. Lei però continua a non sembrare al suo agio e il pezzo resta inespresso. 5

gIANMARIA (Mostro): look angelicato e cantato molto espressivo, il ritornello poi esalta anche il resto del pezzo che invece non è troppo centrato. 6

Modà (Lasciami): sono talmente estremi e sfacciati nella loro melodia aperta che si sono inimicati la sala stampa, e stranamente nemmeno il pubblico li sta trascinando, salvo il televoto. È un pezzo da karaoke, pop rock sopra le righe ma con un ritornello che fa cantare come pochi in questo festival. 5,5

Will (Stupido): va controtendenza rispetto ai coetanei neo-urlatori, e questo può renderlo simpatico, specie perché incarna il rassicurante bravo ragazzo, ma la canzone è piatta e ha il ritornello più trascurabile della gara. 5

La classifica

Dopo il televoto, Marco Mengoni è sempre più primo e dubitiamo che qualcuno possa spodestarlo fino a sabato; segue Ultimo che ha recuperato molte posizioni, mai quante Mr. Rain che ha capitalizzato il potere dei bambini verso il pubblico votante. Chiudono la top five Lazza e Tananai. Curiosa la débacle dei giovani, specie vista la quantità altissima di giovani che guardano il festival di Sanremo stando ai dati ufficiali: ultimo Sethu e tutti gli altri di Sanremo Giovani, ma anche Ariete e altri idoli degli adolescenti, sono bassi o bassissimi in classifica.