Le pagelle del Festival di Sanremo 2024 dopo la finale. Dopo un grande testa a testa, partito dalle serate di mercoledì e giovedì, la 74^ edizione del Festival di Sanremo si è conclusa con la vittoria di Angelina Mango che ha vinto cantando La noia e battendo Geolier in un rush finale che ha visto arrivare subito dietro Annalisa, Ghali e Irama. Un verdetto accolto con gioia dal pubblico, dopo i fischi di ieri indirizzati al rapper napoletano, e dalla sala stampa: nel voto ponderato, la ragazza potentina ha avuto il 40% dei voti.
Il premio della critica ‘Mia Martini’ è stato assegnato dalla Sala Stampa dell’Ariston a Loredana Berté, mentre il premio della Sala Stampa “Lucio Dalla” è andato ad Angelina Mango. Il premio al miglior testo lo ha vinto a Fiorella Mannoia, mentre la miglior composizione è quella di Angelina Mango.
Fiorello, co-conduttore di serata, entra in scena con quello che forse è il numero di spettacolo più bello dell’intera serata, un mash-up di Vecchio Frac di Domenico Modugno e Billy Jean di Michael Jackson, con un vestito da sera bordato di neon e un corpo di ballo con luci al neon che nel buio sembrava una danza di luci. E poi fa il Fiorello solito, nel bene e nel male, nella volgarità sotterranea, come pure nei lampi di pazzia. Unico momento di show, oltre il fluviale concorso musicale è quello di Roberto Bolle, che danza il Bolero di Maurice Ravel su meravigliosa coreografia di Maurice Béjart.
L’ultimo festival di Amadeus ha sancito così la definitiva consacrazione, anche in termini di giurie, dell’idea di una manifestazione fatta per coinvolgere un pubblico giovane, radiofonico, per cogliere il momento musicale e le tendenze, fatto di ritmo e danze, di bassi ed evoluzioni melodiche del rap o trap, l’unico pezzo pop dance vincente, dopo tre ballate e un pezzo rock, a suggello di una ricerca musicale lì indirizzata. Sarà interessante vedere dopo i trionfi del direttore artistico dell’ultimo quinquennio, dove si sposterà, se si sposterà, l’equilibrio della prossima direzione.
Dal punto di vista televisivo è sempre più un gigantesco contenitore di pubblicità, il kolossal, uno dei pochissimi, forse l’unico, della nostra tv, con tutti i difetti di una pachidermica carrozza, ma anche troppo grande per fallire. Alla RAI tocca una grana pesante da risolvere per il dopo Amadeus, speriamo almeno che riesca a risolvere quegli errori di natura prettamente autoriale che si trascinano immutabili da anni e che il caso Travolta ha messo a nudo con una certa violenza.
Le pagelle delle canzoni, i voti della finale
– Renga e Nek (25°): anche loro, dopo giorni di bellissimi completi da colori sobri ed eleganti, si adeguano al nero, però comunque, classici e inappuntabili. Non lo è la canzone, che negli ascolti resta mediocre. Loro sono rodatissimi, ma perché non si mangiano di più il palco? 4,5
– BigMama (22°): splendida in abito principesco rosso scarlatto, ha seguito un percorso identitario riuscito per farsi scoprire da un pubblico diverso e all’ultima serata, dopo la bella prova di ieri, è davvero comunicativa. La voce cede, in più di un’occasione, ma alcuni versi restano scolpiti: “Se potessi andare indietro ti darei una casa vera in cui dormire/Se anche fossi solo vetro ti coprirei per strada e mi farei colpire”. 6,5
– Gazzelle (11°): oggi, con quel fare scazzato che lo rende uno di noi, ha messo una giacca grigia sopra la felpa nera. Incarna un mood anni ’80 fuori dai cliché sonori e ha saputo gestire bene l’orchestra, che anziché esplodere, lo accompagna nella tenerezza di un amore “distesi col raffreddore”. 7-
– Dargen D’Amico (20°): abito da simil-Joker, meta rossa e metà nera, a chiasmo, con i cuoricini attaccati sopra, sfrutta bene il crescendo orchestrale del pezzo, che fa saltare ma mette dentro una tensione che si libera nel ballo, nel ritmo ossessivo: “Alla contraerea sopra un palloncino” mette un lieve brivido. 7
– Il Volo (8°): il loro look nero si muove tra comunione nord-coreana, agenzia funebre e gigolò per caso – sono i peggio conciati del lotto – ma vanno sul sicuro. Non sbagliano una nota e hanno il pezzo che tira l’applauso, anzi l’ovazione, con un ritornello da karaoke. È musica greve, certo, ma pensata, curata, composta. 6
– Loredana Bertè (7°): “Mi faccio una carezza perché non riesco a chiederle”, ma il pubblico sarebbe disposto a dargli tutto. Il televoto l’ha penalizzata, ma nonostante l’abusatissimo nero per doveri di FantaSanremo, oggi è in forma smagliante. Il suo Sanremo è stato esemplare, lei che avrebbe potuto permettersi di giocare di conserva. 8
– Negramaro (19°): La canzone di Battisti all’alba è diventato già una frase per innamorati, a Sanremo uno striscione è comparso sul lungomare. Non si sono giocati benissimo il Festival, su disco sembravano potenziali vincitori, mentre dal vivo non hanno trovato la quadratura sonora tra un rock da arena, l’orchestra e un Sangiorgi poco centrato, che oggi prova a dare tutto. 6+
– Mahmood (6°): è l’artista che ha fatto il Sanremo migliore per costruzione di un percorso musicale ed estetico, portando in scena le sue radici e il suo futuro, dimostrando la sua bravura in senso totale, il gergo e il dolore intimo, la durezza dei ritmi e la fragilità dell’anima, Milano Nord, Budapest e il Sahara. E poi la musica, un ritornello in cui il tema è quello di una suoneria 8 bit, mentre canta dei suoi cinque cellulari. Applausi. 8,5
– Santi Francesi (18°): bravi anche loro a usare questa gigantesca vetrina per costruirsi un’identità, ascolto dopo ascolto: il synth anni ’80 più raffinato e i bassi più tosti, l’immagine liquida e sensuale – finalmente un bianco accecante – e il senso della performance. 7
– Diodato (13°): è una sicurezza, un cantautore che ha saputo muoversi tra Sanremo e l’emancipazione dal festival, un artista in crescita e l’unico capace di fare tutto da solo, in un festival dove testi e suoni minimal vengono scritti da una decine di autori. Quello special di archi poi è il vero omaggio a Battisti di questo festival. 7,5
– Fiorella Mannoia (15°): “Sono un impero/sono metà, sono l’intero”, dei veterani è quella che si è messa in gioco di più e ne è uscita meglio, è un pezzo basico, ma scritto bene, specie nel testo, e la sua interpretazione, il modo in cui teatralmente porta la voce, la pone o la toglie, è da fuoriclasse. 7
– Alessandra Amoroso (9°): in altre edizioni, avrebbe vinto a colpo quasi sicuro, oggi fa una figura diversa, ma conta che il pezzo è per lei, per uscire da un momentaccio e rilanciarsi. L’emozione si è fatta sentire, però ci sembra sia riuscita anche a farla passare. E l’immagine dell’uomo che cade dal grattacielo e cerca di farsi coraggio è tra le più toccanti del festival. 6,5
– Alfa (10°): a parte il fatto di sembrare un senzatetto che non si cambia d’abito da una settimana, a parte aver tinto di nero il cuore giallo sulla t-shirt, non puoi esordire a Sanremo con una cosa così, in cui non c’è la minima personalità, in cui tutto viene da altrove. Spiace per lui, che fa tenerezza ed è onesto, ma andrebbe consigliato meglio. 5
– Irama (5°): nel novero dei giovani divi in quota talent è il più originale nel modo di rimescolare le carte della tradizione sanremese, è la nuova frontiera del sanremese, il nuovo Al Bano, ciò che un tempo sarebbe stato Renga. Detto senza ironia, lavorando ancora meglio, c’è un futuro qui dentro. 6,5
– Ghali (4°): altro maestro di stile, moderno e rétro al tempo stesso, altro vincitore morale del festival, che ha saputo anche conquistare pezzi di pubblico a lui lontana con il suo grooving quasi perfetto e con la sua storia che è, per fortuna, anche politica, non solo privata. Il pezzo è poco più di un compito per lui, però è efficacissimo. Il nero è finalmente sensatissimo, apprezziamo l’arrivo dell’alieno in scena e poi rischia dicendo “Stop al genocidio”. 7
– Annalisa (3°): non ha vinto perché ha incontrato sul suo percorso due esplosioni giovanili, ma è una corazzata del pop, Kylie Minogue con molta più voce e una composizione delle linee vocali che sa inglobare la tradizione del bel canto. Oggi poi immagine e voce era una bomba. 7+
– Angelina Mango (1°): il palco se lo mangia, la voce la rende alta due metri, l’espressività del corpo e del volto (quella smorfia dopo il verso “Intanto chiudo gli occhi per firmare i contratti” è impagabile). Comunque finisca la gara, è il SUO Sanremo. Total! 7,5
– Geolier (2°): astutissimi gli autori a mettere i due rivali testa a testa, anche dopo le polemiche sui fischi. Il suo pezzo non è bello né brutto, un biglietto da visita innocuo che tiene buoni i fan e si apre agli altri. Il suo talento non viene fuori da una performance come quella di questa sera, ma in certi casi non è importante, basta vincere. 6-
– Emma (14°): sottovalutata dalle giurie per via del suo passato di canzoni gridate e scritte dai Modà, ma anche per un pezzo che non è adatto alle platee del festival. Però che ritmo, che suoni, che presa sul pubblico. 7,5
– Il tre (12°): ha dalla sua la giovinezza, l’entusiasmo, il romanesco, ma non la canzone. Oggi dà il tutto per tutto e crediamo che questo al suo pubblico faccia piacere. 5+
– Ricchi e Poveri (21°): se uno cercasse il colore e la leggerezza stasera, e in generale quest’anno, la troverebbe qui in quantità industriali. Il pezzo è bruttino, ma chi se ne frega di fronte a vestiti rosso acceso, giganteschi guanti indossati come stola, ballerini che si muovono e un Angela scatenata, anche fuori dal palco. 6
– The Kolors (16°): ritmo puro, corpo e piedi che si muovono a tempo, melodia accattivante. Due spanne sotto Italo Disco, siamo d’accordo, ma quando st’estate ci suderemo sopra non ci sembrerà importante. 6+
– Maninni (26°): la ricerca di un suo stile è disperata, oggi prova ad aggiungere un paio di guanti neri al completo nero unisex, ma questo Sanremo non l’ha aiutato, a causa soprattutto di un pezzo piacevolmente anonimo. 5
– La sad (27°): hanno pensato solo a divertirsi e fare un po’ di casino, portando i colori più belli del festival, con sottofondo di messaggio sociale. Le due cose però non possono sposarsi, sa tutto troppo di plastica, non per colpa del loro atteggiamento, ma della canzone. 5,5
– Mr. Rain (17°): cantore del ruffianesimo post-adolescenziale, con occhio ai bambini – che infatti lo amano – è quello che gioca musicalmente più sporco, quello che resta sospeso nel testo diventa brutto nella messa in scena. E quel vocoder rubato a Hide and Seek è un colpo basso meno forte del coro di bimbi. 5
– Fred De Palma (30°): la disco music e lo struggimento del truzzo, il rapper che cerca di fare il melodico, ma non è niente in confronto all’imbarazzo del suo freestyle, roba da dodicenne. 5-
– Sangiovanni (29°): un pezzo completamente in sordina, che però non diventa vellutato, come Gazzelle, ma resto inespresso. La tenerezza che dovrebbe esprimere la sua immagine è tutta fuori dall’esibizione. 5,5
– Clara (24): il festival se l’è giocato bene, soprattutto nell’impostazione dell’immagine, un look bellissimo, poi deve lavorare molto sulla voce e su pezzi più coesi, ma diciamo che il materiale c’è. 6
– Bnkr44 (28°): conciati come la versione senza tetto dei Backstreet Boys dopo un paio di Tavernelli a testa, dovrebbero metter allegria e, anche loro, riflettere sulla vita in provincia. Talmente sgangherata da stimolare tenerezza, però il brano è proprio una roba impalpabile. 5
– Rose Villain (23°): altra cantante che da Sanremo esce vincente, ha mostrato classe vocale, concezione musicale precisa, sensualità e ironia. Ha presenza e potenza, una nuova diva distorta, può giocarsela su tanti fronti. Le auguriamo di vincere ovunque. 7