E’ tempo anche quest’anno delle pagelle di Sanremo, prima serata del 2024. È Loredana Berté ad aggiudicarsi la prima classifica provvisoria del Festival di Sanremo 2024, un risultato prevedibile visto che la sala stampa, che ieri alle prove le aveva tributato un’ovazione, ha votato in questa prima serata. Seconda la sorprendente Angelina Mango, terza la favoritissima Annalisa, quarto Diodato e quinto Mahmood. Una classifica tutto sommato giusta, visto il buon livello delle cinque canzoni.



Ad aprire ufficialmente la kermesse, è la banda dei Carabinieri che suona la propria marcia d’ordinanza per lanciare la linea a un Ariston buio, sul cui palco c’è Marco Mengoni che, con un discorso in vero un po’ troppo enfatico (“Nulla sarà come prima”, anche meno, grazie), vara l’edizione, lancia la linea ad Amadeus e svela l’avveniristica scenografia, con scale sinuose che si aprono e chiudono e saranno al centro anche di varie esibizioni; come quelle di Mengoni, la Due vite che lo scorso anno chiuse trionfante e il medley in cui porta sul palco ciò che fa dal vivo, scenografie e coreografie comprese; come conduttore invece, compensa con umorismo e simpatica imbranataggine le indecisioni e si fa apprezzare per arditi cambi d’abito.



Zlatan Ibrahimovic è la linea comica, un po’ come nel 2021 quando affiancò Amadeus e Fiorello, ma dopo una prima apparizione sparisce. Se dopo cinque anni, finalmente Amadeus dimostra di tenere i tempi comici e reggere le gag (ma Mengoni gli ruba la scena, con i relitti delle passate edizioni, dalla scopa di Morandi al retino per raccogliere gli spartiti lanciati dall’orchestra nel 2010 e ammanettando Amadeus), gli autori hanno problemi a scrivere i momenti più seri: il ricordo di “Gio Gio” Cutolo è troppo strappalacrime, senza misura o pudore, anche per una commemorazione; Federica Brignone fa tappezzeria, come spesso capita agli sportivi (e qui si può ben capire il rifiuto di Sinner).



La formula di Amadeus non cambia, specie in questa prima serata nella quale hanno cantato tutti e 30 i concorrenti, uno spettacolone monstre in cui la musica è padrone, diremmo anche dittatrice: siamo sicuri che cinque o sei di questi concorrenti non potevano restare a casa? O che non si possa pensare a serate inferiori alle cinque ore (se quattro, meglio)?

Le pagelle di Sanremo 2024: i voti alle canzoni alla prima serata

Clara: abito d’argento cangiante, sinuoso come gli effetti luministici delle scene, fa le prove generali per un futuro da diva, come anche l’orchestrazione, che guarda addirittura a Madonna, fa supporre. Cantato che si muove tra tradizione e contemporaneità, in linea col mood di Mare fuori da cui proviene, gli manca ancora la presenza scenica e il brano giusto. Ma ha grinta, la tira fuori oltre l’emozione iniziale e convince abbastanza. 6

Sangiovanni: adolescenziale, la versione maschile di Ariete, ma il pezzo è meno genuino, suona melenso e spento. Su quel palco, quest’anno, il cantante ci sta largo, come nell’abito bianco con cui è salito sul palco. 5

Fiorella Mannoia: in bianco, come una sposa scalza, voce perfetta che pare uscita da un disco e pubblico che batte le mani sul ritmo spagnolo, mentre lei afferra il microfono e fa sentire il peso del suo carisma, che gestisce il testo cucito su misura per lei. Il pezzo è abbastanza ruffiano da far soprassedere ai propri limiti e portare il pubblico al coro. Premio della critica già in cascina. 6,5

La Sad: scheletro d’argento sul petto nudo, abito nero e creste colorate, tra punk e Slipknot (che conoscono bene), cantato adolescenziale con tracce emo-core, suono di plastica ma piuttosto robusto. Sembrano un po’ emozionati e quindi non spaccano del tutto, la voce e l’audio non li aiutano, ma i cartelli di ragazzi che si sono suicidati, il tema del brano, vengono in loro soccorso. 6

Irama: molto sobrio, stranamente, nel look, maglietta e jeans neri, per un pezzo che riporta in auge il cocciantismo (e con chi duetterà venerdì? I duetti sono molto indicativi di stili e intenzioni), cantato sforzato, urlato, disperato su canzone pomposa ma a suo modo originale e molto sentita. Piace e può arrivare in alto, ma oggi l’ha cantato un po’ più frenato del solito. 5,5

Ghali: camicetta e pantaloni fini, color carta da zucchero, in tono con lo stile quasi funk del brano, con i suoni disco e gli archi anni ’80. Ha classe e il testo è trai più urgenti ascoltati quest’anno, ma il brano spacca meno del previsto. E poi, perché tenere l’alieno di cui parla il pezzo sulla porta dell’uscita anziché farlo ballare sul palco? 6

Negramaro: total black, e Sangiorgi che gorgheggia urticante fin dalle prime note, senza manco aspettare il ritornello, come fosse una parodia. Il pezzo però ha un ritornello a prova di Festival, un corpo musicale poderoso, cassa dritta e melodia, le citazioni di Battisti per carezzare i più adulti. Usano la scena in chiave espressiva, svelando un countdown dietro una scala che fa partire il crescendo finale a prova di podio. 6,5

Annalisa: più sobria, colori scuri e tenui, e meno succinta del solito, entra in scena di lato e subito mostra il lato diva della sua carriera. Il pezzo in questo senso è perfetto, il miglior pop italiano in circolazione che va a rotta di collo e poi si apre alla voce limpida della savonese. Ritmo e cantabilità: pronta al dominio delle classifiche. 7

Mahmood: gilet da spacciatore di periferia, come quelli di cui canta nel brano, gelatina in testa e pantaloni di pelle, il cantante punta a un pubblico diverso da quello che gli ha fatto vincere due festival. Il senso della melodia e del ritmo si intrecciano in uno dei pezzi meglio prodotti e la sua voce esprime sempre una sincerità che non sempre al festival viene rilasciata. 7,5

Diodato: tutto di bianco panna, con una giacca che pare un cache-coeur, sceglie un brano di impatto meno possente di Fai rumore, più morbido, che però mette in mostra la classe di uno dei migliori cantautori di oggi. Classico per davvero, quindi senza tempo, che usa gli strumenti e l’orchestra come avrebbe fatto uno dei suoi maestri. Una balletto di ragazzi festanti irrompe nel break strumentale e decide di non calcare la mano, finendo in diminuendo. Bella scelta. 7

Loredana Bertè: travolgente, anche nelle imperfezioni vocali, un pezzo davvero rock, che pare uscito da un disco dei Muse, chitarre e tastieroni, rombante ritmo e ritornello da cantare nello stadio. Il teatro ripete la standing ovation che la stampa le ha dedicato alle prove. Una vera leonessa che sarebbe bello vincesse, e forse pure giusto. 8

Geolier: brillantinato, ingioiellato, con quell’idea di eleganza e classe un po’ buzzurra, che è perfetto specchio dell’immagine che vuole dare, il rapper deve dimostrare che Amadeus ha fatto bene a derogare dal regolamento per cui la maggior parte del testo deve essere italiano. Il pezzo funziona, ma difficilmente convincerà chi non è già fan. 5,5

Alessandra Amoroso: in abito da sera di velluto scuro, la cantante è una delle poche a portare una canzone sanremese fino in fondo, nel bene e nel male, con un occhio a ieri e uno a oggi. Ben costruito, arrangiato e cantato, anche se in più di un’occasione a rischio sforzatura, con l’impronta di Tiziano Ferro, nume tutelare di una carriera e di una generazione, ha un finale tra i più belli della gara. E si sente che il pezzo parla di lei, per lei. 7-

The Kolors: Stash in abito nero senza camicia e gli altri in bianco, fanno scatenare con un ritmo travolgente e una sezione ritmica tumultuosa. Pop funk di diabolica presa popolare, e – finalmente – ben suonato. 7

Angelina Mango: aderente e morbido abito stampato, vagamente etnico, come un pezzo che guarda all’America Latina e al cuore napoletano, nel mix di influenze viene fuori la sua personalità sul palco – davvero ha il potenziale per essere la nuova regina – e la sapienza di autori come Madame e Dardust. Total! 7+

Il Volo: look sbarazzino, da truzzo al rimorchio oppure da comunione, pezzo anni ’80 tipo Raf e Tozzi in Gente di mare, che poi cresce tramutando le voci pulite e pop in quel muro di suono che ha venduto 20 milioni di dischi nel mondo. Il gusto del pezzo è parecchio discutibile, ma sanno come conquistare la platea. 6

Big Mama: vestito nero tra i più belli della serata, che giustamente accompagna le forme su cui la cantante ha fondato un percorso “politico”. Più sciolta rispetto alle prova, disinvolta, ma ancora col freno un po’ tirato. Il pezzo non è un manifesto o un atto d’accusa, seppure nel testo c’è una forza e una verità che lo rende tra i migliori, aspettiamo che la performance lo accompagni al meglio. Le si vuole bene, specie quando a fine canzone piange abbracciando Amadeus. 6

Ricchi e poveri: arrivano infiocchettati come un pacco regalo, con gli archi a introdurre un pezzo disco d’antan, in cui le melodie chioccie fanno i conti con un ritmo che i due, anche vocalmente, non riescono a tenere. Erano gli Abba italiani, ora sono due simpatici arzilli anzianotti che cercano di fare simpatia fingendosi giovanili. Come Wilma Goich. 5

Emma: aggressiva e sexy nel look, e anche nella performance, per un brano finalmente vitale dopo vari brano un po’ lagnosi o tronfi portati negli anni, con uno dei quali – Non è l’inferno – ha pure vinto. Il pezzo ha dei suoni vincenti, tra gli anni ’80 di Comprami, ammicamenti inclusi, al ritornello house. Una sorpresa. 7,5

Renga e Nek: Renga sui toni caldi del mattone, Nek intorno al freddo blu elettrico, per il pezzo più spompato dell’intero lotto, ancora più rombante il tonfo perché viene da due colonne del moderno festival, che l’hanno pure vinto (Renga). Ma quei suoni vieti, quel ritornello senza forza, il testo puerile, una musica indegna del Dardust che l’ha composta, un modo di concepire la melodia da ragazzetti di 30 anni fa. Inaccettabile da loro. 4

Mr. Rain: bel completo vinaccia con brillantini, le altalene sul palco, vuote come l’assenza di cui parla il brano, che però ha un’unica idea musicale, la distorsione vocale del primo ritornello, poi prosegue nel suo percorso che lo sta portando a essere il nuovo Paolo Vallesi. Bambini e oratori già in fibrillazione, ma al terzo ascolto, il pezzo resta sciocco, senza manco la furbizia del precedente. 5

Bnkr44: la quota ‘scappati di casa’ si tinge di colori, abiti improbabili, spensieratezza puberale, in pratica la versione con l’acne dei ragazzi italiani. Fanno simpatia, specie al pubblico adulto che si rivede con affetto. La musica però è un’altra cosa. 5

Gazzelle: inizio pianistico dolce e classico, il tono rilassato va a braccetto con la felpa nera francescana che porta sopra i pantaloni. Strofa e musica sono meno ispirati del bel ritornello e forse, in una canzone pop specie a Sanremo, è la cosa più importante: e poi, come pochi altri in gara, dialoga con l’orchestra, i suoni e l’arrangiamento. E poi il finale, lento, dolce, l’immagine dei due amanti stesi sul letto col raffreddore, tira l’applauso. 6,5

Dargen D’Amico: completo Blues Brothers con collanona e calzari di orsetti di peluche, ha il pezzo col bpm più alto di tutta la gara, ma un problema con l’auricolare gli fa perdere il tempo all’inizio. Però recupera con un ritornello da cantare in coro, un testo impegnato. E poi, dopo la fine del brano, dice un “Cessate il fuoco” che lascia stupiti. 6+

Rose Villain: abito a stampa con fiori dorati attaccati, la cantante gioca andando contro la sua immagine aggressiva e il pezzo punta a sorprendere, alternando melodia sanremese molto ben cantata e ritmo martellante da club, due anime che la sua interpretazione sa fondere in modo notevole. 7

Santi Francesi: cercano un pop di classe, sensuale e romantico, dal look e dai suoni anni ’80, ma di come ce li ricordiamo ora, non di com’erano davvero. Un po’ gotici un po’ neo-romantici e un pezzo piacevole da ascoltare in macchina, ma le tracce che lascia sono poche. 5,5

Fred De Palma: anche lui in classico completo nero, con risvolto brillantinato, ha una bella grinta, ma non ha una bella canzone, radiofonica come i tre quarti della gara, ma con pochi spunti e un’orchestrazione troppo fasulla per non puzzare di bruciato. 5

Maninni: il pezzo più noioso, piazzato a fine serata, è un po’ suicidio. La canzone è un ballatone romantico senza nessun appiglio di modernità, che non avrebbe sfigurato nelle meste competizioni delle Nuove Proposte di un po’ anni fa. Magari il pubblico di Amici apprezzerà, ma qui dentro è proprio fuori fuoco. 5

Alfa: la furbizia diventa malafede nel modo in cui il già sentito si confonde col rubato, il bilancino per far abboccare i giovani, un pezzo fasullo prima che brutto. Nel momento col megafono si perde del tutto il suono e il testo, ma chiaramente non è un gran perdita. 5

Il tre: giacchetta di quelle sciatte e costosissime, ovviamente petto nudo e tattoo in vista, è il cantante che ha cantato peggio stasera, specie nel ritornello, quando deve cantare, mentre con le rime veloci se la cava. Il pezzo però è proprio musicalmente blandissimo, pilota automatico in cui i suoni della band e dell’orchestra e il canto sembrano sovrapposti da due tracce diverse. 4