La seconda serata di Sanremo 2024 ha visto Geolier trionfare nel voto di radio e pubblica a casa, al termine di una serata prevedibilmente più lasca nel ritmo, ma anche più ricco di momenti extra-musicali, riempitivi ora riusciti ora pessimi con cui giustificare le cinque ore di trasmissione anche a fronte di metà delle canzoni in gara. Il resto della top 5 vede in ordine Irama, Annalisa, Loredana Bertè e Mahmood.
Ad aprire la serata ci ha pensato ironicamente Ruggero Del Vecchio, il nonno canterino di Viva Rai 2, che canta Italodisco e Mon amour con un aplomb divertente, ma che lascia comunque ammirati. La co-conduttrice di oggi, Giorgia, come di consueto entra in scena una mezz’ora dopo l’inizio del programma, vestita da direttrice d’orchestra, celebra il trentennale di E poi, il brano che l’ha lanciata nel mondo della musica, proprio a Sanremo: un brano, scritto dalla stessa Giorgia, che deve molto a Pippo Baudo, vero talent scout a tutto tondo che, come ha dichiarato oggi in conferenza, consigliò a lei e ai suoi produttori di riscrivere l’inciso, per renderlo più aperto e coinvolgente. Grande classe, grande pezzo sanremese (quell’anno arrivò settima tra le nuove proposte, nell’anno che incoronò Bocelli). Come presentatrice ha una scioltezza diversa e una solida disinvoltura rispetto a Marco Mengoni, simpaticissima e a suo agio, come cantante poi non ne parliamo, ribalta il palcaìo con un medley dei suoi successi.
Tremendo invece John Travolta, che arriva all’Ariston come un padrino a fine battesimo, protagonista di uno di quei soliti odiosissimi siparietti che toccano a tutti gli ospiti internazionali: terrificante, vitreo, coinvolto in un umiliante ballo del qua qua. Sarebbe ora di dire basta a uno scempio simile.
Le pagelle di Sanremo 2024: i voti alle canzoni della seconda serata
– Fred De Palma (presentato da Ghali): in maglia ricamata, nera con trasparenze e gilet nero, sussurra e poi grida tutto il tempo, anche quando rappa. Comprensibile essendo uno dei mille pezzi che sentiremo quest’anno su amori distrutti, struggimenti dell’abbandono e consapevolezza dei propri limiti. Pezzo con una sua efficacia, ma anche banalotto. 5
– Renga Nek (presentati da La Sad, con smoking punk irresistibile): hanno invertito i colori dell’abito rispetto al debutto, eleganti come due yakuza, ma non hanno migliorato il brano, il cui incedere armonico e orchestrale ruba a mani bassi da Senza parole di Vasco Rossi. E poi, quel testo melenso e sentenzioso è davvero antiquato. 4,5
– Alfa (presentato da un impeccabile Mr. Rain): vestito proprio come ieri, chissà se ci ha pure dormito con quella maglietta nera, porta una compilation, un collage di furti, talmente orecchiabile da essere denunciabile per truffa. 4,5
– Dargen D’Amico (presentato da Diodato): ha una giacca variopinta, occhiali e scarpe colorate, una canzone techno che pare Gabry Ponte, ma che nel martellante e insinuante ritmo da stadio dice qualcosa, condivisibile o no, ma porta un’identità “politica” dentro il puro intrattenimento tamarro. E dopo un po’ di ascolti, ci si accorge anche il modo in cui l’orchestra accompagna, suggerisce stati emotivi, tensioni sopite. 6,5
– Il Volo (presentati da Rose Villain, prevedibilmente approcciata da uno dei tre): vestiti come la bandiera dell’Udinese, uno bianco in vestaglia da gigolò, uno nero e uno a metà, spingono ancora di più, consapevoli che il pubblico li ama e loro sanno condividerli. Il ritornello più “aperto” e cantabile del festival, che coinvolge ogni volta di più, a patto di stare al loro gioco. 6
– Gazzelle (presentato dai Bnkr44): appena svegliato, nella felpa pelandrona e con la faccia di un Hangover, porta uno dei testi migliori della gara, un pezzo in cui il romanticismo ha la stessa indole svogliata e la tenerezza dell’intimità. È un pezzo che migliora quando abbassa il volume, nella ripresa del ritornello, per esempio, quando l’orchestra sussurra, come fa la sua voce. Il giusto modo di portare il canone sanremese ai nostri giorni. 6,5
– Emma (presentata dai Santi Francesi): tutta nera, con lunghissimi stivali sotto la camicia, non deve urlare e interpreta meglio, è libera e seduttiva, il pezzo ha un uso dei bassi fortissimo che non può non far muovere gambe e corpo. Poi, si può eccepire che non c’entra nulla con Sanremo un pezzo simile, ma probabilmente a Emma e agli autori, di un pezzo per vincere – come quello di Amoroso, per esempio – non interessava niente. 7,5
– Mahmood (presentato da Alessandra Amoroso): fasciato come un ballerino del tour di Vogue di Madonna, è un vero divo pop a tutto tondo, capace di amalgamare una canzone indice di un percorso e la sua evoluzione estetica e artistica. Il senso del ritmo è innegabile, come il carisma, ma a cogliere le sfumature c’è un testo che addensa un mondo e una storia articolata come un piccolo romanzo di formazione e di vita periferica, con la voce che segue le volute delle dune del Sahara assieme agli archi. Brillante davvero. 8
– BigMama (presentata da Il Tre): curioso abito monacale ma tutto nero con inserti e pantaloni rosso fuoco, sembra la versione edulcorata del suo personaggio, ma va detto che, con gli ascolti, si notano le differenze con la versione radio, specie nel bell’uso degli archi a sottolineare certi passaggi vocali, certe parole chiave, interagendo con l’elettronica. E finalmente si libera, usa il palco come un live e twerka restando coi fuseaux rossi. 6
– The Kolors (presentati da Angelina Mango): look identico a ieri, possiamo fare tutti i giusti appunti che vogliamo sulla sostanziale identità di questo a molti dei loro pezzi, partendo dal tormentone dello scorso anno, Italodisco, e quindi dell’operazione timorosa. Ma sentire quel basso slap, quel Groove che fa divertire tutti in primis l’orchestra, in cui due finti violinisti diventano poi ballerini sul palco, è davvero un piacere. 6+
– Geolier (presentato da Fiorella Mannoia, simpaticissima): sempre più tamarro, in un percorso che sabato lo potrebbe portare al castello del Boss delle cerimonie, è il definitivo sdoganamento di un mondo, quello della musica partenopea che, come in letteratura, cinema e teatro, sta dominando le tendenze culturale degli ultimi 15/20 anni. Il pezzo, diciamolo, non è all’altezza delle aspettative, ma con il più alto numero di streaming alla prima giornata, è già un vincitore. 5,5
– Loredana Bertè (presentata da Sangiovanni): camicia bianca con una specie di piumaggio, che fa risaltare la combattiva chioma turchese, si tiene un po’, conserva le energie per la finale. Certo, alla lunga il fatto di essere una cover di sé stessa si sente, ma l’interpretazione è migliore di ieri, e le chitarre doppiate dai tastieroni fanno un certo effetto. 7,5
– Annalisa (presentata da Maninni): elegante e sexy, in nero, confermando il reggicalze che ha destato un certo scalpore social, fa emergere con l’affinare dell’esibizione dal vivo, il cuore della canzone, ovvero, dietro il martello ritmico del ‘quando quando quando’, e la buona riuscita orchestrale, c’è il viaggio di una donna che si dà il permesso di essere se stessa. Un tema ricorrente, ma qui espresso dentro una veste up beat che fa la differenza. 7
– Irama (presentato da I Ricchi e Poveri): con quello stile da divo ombroso e sensuale degli anni ’00, chiede al pubblico di concentrarsi solo sulla sua voce – magari non sulla sua provincia – e sul suo modo di usarla, quasi estremo per un cantante pop. Sa interpretare bene lo spirito strappacuore della canzone italiana tradizionale e condirlo di tocchi più o meno originali, l’orchestra in questo caso. Uno di quei pezzi che volta dopo volta sembra un pochino meglio. 6+
– Clara (presentata dai Negramaro): è forse la cantante con gli abiti più belli, oggi sempre argento ma brillante, con buco a mostrare l’ombelico, dovrebbe lavorare di più sulla dizione che stona con l’impianto musicale – se altrove abbiamo colto un riferimento a Madonna, va detto che il giro armonico degli archi, specie in avvio, sembra Tutti i miei sbagli dei Subsonica – ma ha del potenziale. 6