Più che sul piano bellico, la risposta dell’Occidente all’invasione russa dell’Ucraina si sta registrando a livello economico-finanziario: Stati Uniti ed Europa hanno già approvato delle sanzioni contro Mosca e sembrano pronte a inasprirle ulteriormente. «Come spesso avviene nelle questioni militari, anche in questo caso – di Mario Deaglio, professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino – occorre distinguere tra tattica e strategia. La prima riguarda il breve periodo, mentre la seconda ha a che fare con l’obiettivo di medio lungo termine.
Dunque, mediante le sanzioni si vuol costringere Mosca al ritiro per l’impossibilità di resistere, dopo qualche mese, senza le merci che importa dall’Occidente necessarie per beni di consumo di uso corrente sul mercati interno. La tattica è colpire i consumi della classe media russa, in modo da generare un malcontento che difficilmente potrà essere trascurato da Putin. C’è poi un obiettivo strategico che è di fatto il vero motivo che ha portato la Russia ad attaccare l’Ucraina».
Quale?
Per anni Mosca ha pazientemente intessuto rapporti con l’Occidente, in particolare con la Germania. Biden, però, non accetta questo tipo di legame, lo si è visto con il Nord Stream 2 che significherebbe sostanzialmente che la Russia diventa parte dell’Europa. E che quest’ultima può essere più indipendente dagli Usa. Per questo per Washington la Russia deve diventare una potenza di secondo o terzo rango. La distruzione geopolitica del suo Paese ha portato Putin alla reazione che abbiamo visto. E non possiamo dimenticare che da parte dell’Occidente c’è stata molta negligenza nei confronti della Russia.
A che cosa si riferisce?
Su piccola scala un’operazione come quella ucraina è stata fatta a inizio anno in Kazakistan: certo, c’era l’accordo con il Governo locale, ma le truppe russe sono entrate nel Paese, hanno agito e poi se ne sono andate. Il tutto nel silenzio dell’Occidente. Nessuno ha detto niente nemmeno sul fatto che in Africa le truppe francesi sono state sonoramente sconfitte e in quei territori ora sia presente il Gruppo Wagner, ovvero mercenari russi. La partita è quindi aperta e gli europei contano poco, perché si presume che sostanzialmente facciano quel che dicono gli americani. Resta da capire se gli Usa, come si diceva una volta, siano in grado di sostenere una guerra di grandi dimensioni e una di piccole dimensioni contemporaneamente, e se siano pronti a inviare truppe in gran numero sul campo.
Rispetto alla strategia di colpire i beni di consumo russi, Mosca non potrebbe trovare un’alternativa alle importazioni occidentali rivolgendosi a Pechino?
I cinesi ragionano molto sui tempi lunghi. Sembrerebbe che siano passati dalla strategia della Via della Seta a una più limitata che riguarda soprattutto i Paesi vicini. Gradiscono certamente poter avere gas e petrolio in forma costante dalla Russia, anche se non dobbiamo dimenticare che sono il Paese che investe di più in energia solare e quindi nel lungo termine avranno meno bisogno di Mosca. Per rispondere alla sua domanda, è quindi difficile dire se Pechino vorrà esporsi così tanto. Al momento non condanna, ma nemmeno sostiene apertamente la Russia: sta alla finestra a guardare gli altri che combattono e osserva con interesse quello che succede in Ucraina per le analogie che può avere con la vicenda Taiwan.
L’Europa può reggere il contraccolpo derivante dall’applicazione delle sanzioni alla Russia?
Gli effetti sull’economia delle sanzioni alla Russia sono molto localizzati e andranno quindi prese delle misure specifiche. Il problema principale è ovviamente quello energetico. Nel breve termine l’Europa è aiutata dal fatto che la primavera si avvicina e quindi le occorrerà meno gas. Tuttavia, bisognerà muoversi subito per il prossimo inverno in maniera coordinata, aumentando il livello delle scorte. L’Italia, in questo senso, può fortunatamente contare sulla presenza dell’Eni in diversi Paesi produttori, oltre alla sua vicinanza con il Nord Africa.
Andrà rivista la transizione green europea?
Di certo bisognerà scordarsi degli obiettivi della COP26, già precedentemente difficilmente raggiungibili. Nel breve periodo l’Europa dovrà necessariamente comprare più petrolio e gas e tenersi pronta a usare più carbone: non proprio quello che pensava di fare fino a qualche settimana fa.
Questa guerra come influirà sulle decisioni delle Banche centrali che si stavano di fatto preparando ad alzare i tassi per contrastare l’inflazione?
La situazione è imprevista, complicata, da gestire giorno per giorno. L’inflazione verosimilmente crescerà ancora, ma penso che la Bce dovrà continuare a tenere lasca la cinghia che dovrebbe stringere. Sarà probabilmente necessario capire se si consentirà in via normale all’Eurotower di finanziare direttamente Bruxelles, anziché acquistare i titoli di stato dei singoli Paesi membri. In questo senso non dobbiamo trascurare un fatto importante.
Quale?
Sembra che l’Europa abbia deciso di investire, e non poco, in armi. C’è da immaginare, quindi, che anche le spese militari saranno escluse dalle regole del Patto di stabilità. Tuttavia, consentire alla Bce di finanziare il bilancio comune darebbe la possibilità di effettuare quelle politiche energetiche e militari comuni che di fatto la Presidente della Commissione europea sta paventando e su cui in queste settimane sembra esservi più convergenza tra i Paesi membri.
(Lorenzo Torrisi)
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