Ogni anno sul mercato del lavoro avviene una reale migrazione di massa. La mobilità dei lavoratori, indipendentemente dalle grandi dimissioni apparse come fenomeno nuovo dopo la pandemia, interessa alcuni milioni di persone.
Se teniamo conto del blocco dei dipendenti pubblici, che sono pressoché sottratti alla mobilità esterna, i dipendenti delle imprese private sono interessati al 50% da sollecitazioni al mettersi in movimento. I numeri dell’indagine Excelsior (dati 2024) ci indicano in 5,5 milioni il numero di assunzioni previste dalle imprese. È il dato che sta alla base della grande difficoltà che i nostri sistemi economico e formativo hanno nel facilitare l’incontro fra domanda e offerta di lavoro. Abbiamo molti posti da coprire, ma non si trovano lavoratori adatti.
Il tema è quantitativo. I giovani che arrivano sul mercato del lavoro sono meno numerosi delle classi di età che arrivano al pensionamento. E anche le imprese dichiarano che a fronte di un 50% di difficoltà a trovare una risposta alle loro esigenze occupazionali molte rimangono letteralmente senza risposte.
Vi è poi un tema qualitativo. Le competenze richieste dalle imprese non corrispondono a quelle che sono riscontrabili nei lavoratori. In termini di livelli di istruzione non siamo distanti da quanto presente nella popolazione. Sempre con riferimento ai dati del 2024, le richieste delle imprese hanno riguardato per il 20% lavoratori con solo la scuola dell’obbligo. Per il 38,2% un livello secondario da formazione professionale, per il 27,8% un diploma secondario e per il 14% un livello terziario.
Come appare da questi dati, non è il livello di istruzione che risulta sfasato rispetto alla popolazione in età lavorativa. Il 50% di difficoltà a reperire i lavoratori necessari dichiarato dalle imprese riguarda le competenze formative che risultano sfasate rispetto a quanto richiesto dall’attuale processo produttivo. A livello terziario mancano soprattutto competenze matematiche e scientifiche oltre che economiche. Ma come appare evidente dalle richieste inevase anche per livelli professionali con sole specializzazioni tecnico-professionali mancano lavoratori formati.
Alle competenze formali si deve poi aggiungere il deficit delle competenze trasversali. Sono sempre più richieste capacità di flessibilità e adattamento, lavoro in gruppo, autonomia e propensione al problema solving. Sono competenze sempre più necessarie per tutti i livelli professionali e solo di recente sono diventate oggetto di dibattito per inserirle nei percorsi formativi e scolastici.
I dati Excelsior riferiti all’anno appena concluso ci indicano un grande spreco di capacità e opportunità che caratterizza il nostro mercato del lavoro. La risposta di potenziare i servizi di orientamento per dare migliore supporto alle scelte formative dei ragazzi, la diffusione della formazione per i lavoratori e la crescita del sistema di certificazione delle competenze acquisite lungo tutta la vita lavorativa sono sicuramente indispensabili, ma lasciano ancora scoperto un dato che sempre più caratterizzerà il tema del lavoro.
Come più volte sottolineato da ricerche e dati di osservazione, la fase della pandemia ha accelerato fenomeni che stavano già comparendo nelle relazioni di lavoro. Si sono manifestati più velocemente e in modo più pervasivo due fenomeni che stanno per molti versi agli antipodi. Da un lato, lo smart working, anche nella forma blanda di lavoro a distanza, ha posto il tema della possibilità di migliorare il rapporto fra tempo di lavoro e tempo di vita. Dall’altro, i servizi della gig economy con il lavoro organizzato dagli algoritmi ha creato un nuovo settore del lavoro servile. Il diffondersi di una logistica distributiva sempre più frazionata ha impattato peraltro come diseconomia esterna nell’organizzazione di spazi, tempi e mobilità nelle aree urbane.
Abbiamo così un sommerso di paradossi. L’occupazione in Italia non è mai stata così alta come adesso. Nello stesso tempo la crescita è avvenuta in settori e con professioni che hanno orari ridotti, tutele limitate e salari bassi. Di fronte all’opportunità di affrontare il tema di come valorizzare il lavoro e migliorare il rapporto vita-lavoro vediamo che cresce il lavoro povero. Povero sia di senso e di legami di appartenenza, quanto nel riconoscimento economico.
Affrontare allora il tema del mismatching che si pone nel mondo del lavoro non è solo un problema di miglioramento dei servizi scolastici e dei servizi al lavoro. Affrontare assieme la domanda di senso con il riconoscimento sociale ed economico del lavoro è una sfida che oggi si fa sempre più stringente. È nella capacità di creare legami sempre più solidi di coscienza relazionale fra i lavoratori e di dialogo e partecipazione con il mondo delle imprese che può aprirsi una nuova stagione per un lavoro “libero, creativo e solidale”.
È questo il richiamo contenuto nel Messaggio dei Vescovi in vista del prossimo primo maggio. La sollecitazione è per “Il lavoro, un’alleanza sociale generatrice di speranza”. È un forte richiamo al lavoro come base delle relazioni fra noi e con la realtà perché il lavoro resta la chiave essenziale della questione sociale dal punto di vista del bene dell’uomo.
Non possiamo delegare la risposta alla mano invisibile del mercato. Al lavoro e nelle imprese il mercato siamo noi. Allora la mano deve essere visibile ed essere la nostra per riuscire a rispondere alle domande di senso e di condivisione che le nuove sfide del lavoro pongono e che sollecitano una rinnovata capacità di iniziativa per una società equa e solidale.
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