Tutte le volte che parliamo di competenze e nuove professioni la mente vaga verso scenari da fantascienza con intelligenze artificiali e lavori con nomi strani e lavoratori che si occuperanno di cose ancora da inventare. A scuoterci dal sogno (o incubo) a occhi aperti viene Istat con il suo rapporto sulle competenze digitali dei cittadini. Oggi (che poi sarebbe il futuro che abbiamo sognato dieci anni fa) ci accorgiamo che le competenze digitali di base degli italiani sono modeste e distanti dalle medie europee in tutte le classi di età.



L’indagine europea rileva le competenze digitali possedute in cinque campi: comunicazione e collaborazione, alfabetizzazione su informazioni e dati, sicurezza, risoluzione di problemi, creazione di contenuti digitali.

Fra coloro che sono occupati, in particolare, le competenze di base sono 8 punti percentuali sotto la media. Per capirci, in Italia il 56,9% degli occupati raggiunge un livello almeno di base nelle cinque competenze, ma la media dell’Europa a 27 è al 64,7%. Tra le maggiori economie ci superano la Francia (67,5%) e la Spagna (75,4 %); non si tratta quindi dell’indole latina, ma di un problema tipicamente nazionale. E non vale l’obiezione che noi siamo artisti e artigiani e produciamo buon cibo, attività per le quali il computer serve meno: se non serve un computer per fare una pizza, è vero che serve per far sapere che la facciamo, serve per gli ordini e le consegne e per gestire contabilità e comunicazione.



I risultati della mancanza di competenze sulla competitività delle imprese si fanno sentire: quando mancano le competenze informatiche degli occupati ci si deve rivolgere a intermediari e consulenti esterni. La rilevazione sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle imprese con almeno 10 addetti mostra che le imprese si rivolgono di più a esterni per la sicurezza informatica e le vendite via web.

Nel 2023 circa sei imprese italiane su 10 tra quelle che vendono via web ricorrono a piattaforme o app di intermediari del commercio online rispetto a una media Ue-27 del 42,9%. In Francia vi ricorrono solo tre imprese su 10, in Spagna quattro e in Germania circa cinque. E questo significa che una parte del valore aggiunto che potrebbe diventare salario aggiuntivo diventa profitto per altre imprese.



Certo cresce la formazione sulle tecnologie dell’informazione fatta dalle imprese, ma anche qui il divario con la media europea resta alto. Addirittura le imprese del settore ICT restano sotto la media europea della formazione dei loro dipendenti di circa il 10%. Eppure le risorse per la formazione non mancano. Basta notare, ad esempio, che i programmi di politica attiva del lavoro come GOL stanziano fondi per la formazione ICT eppure fanno fatica a spendere tutti i soldi disponibili. Come noto, molte regioni sono indietro con il consumo delle risorse dedicate alla formazione stanziate dal Fondo sociale europeo.

D’altra parte anche il numero degli occupati nell’ICT resta basso. In Italia, secondo la Rilevazione sulle forze di lavoro, nel 2023 sono 970 mila le persone impiegate in occupazioni che rientrano nell’aggregato degli specialisti ICT. L’obiettivo è arrivare a 1,7 milioni entro il 2030. Difficile da raggiungere, se si considera che il numero di laureati in discipline ICT è più basso, anche lui, di 3 punti percentuali rispetto alla media europea.

L’elenco delle mancanze relative agli impieghi ICT è impietoso: bassa diffusione degli specialisti ICT nelle imprese con almeno 10 addetti – nel 2022 ne disponeva il 13,4% contro un valore medio dell’Ue-27 del 21,0%; una quota ridotta di specialisti con titolo universitario; relativamente pochi specialisti ICT di età inferiore ai 35 anni, il 29,3% contro il 37,3% della media Ue-27; una presenza femminile modesta.

Insomma, il problema è chiaro, dove e come agire anche, i soldi ci sono e vanno spesi o resi all’Unione europea se non siamo in grado di spenderli. Qualcuno vuole prendere un’iniziativa politica vera in merito? Le regioni con la loro maggiore autonomia o il Governo centrale? Forse il problema di scarse competenze che generano bassa competitività si risolverà cambiando l’ennesima norma? O abolendo il Jobs Act? O mettendo uno sconto fiscale? O un sussidio nuovo?

Probabilmente no. Se nessuna vera iniziativa appare all’orizzonte, il futuro del lavoro somiglierà al passato, ma con meno soldi.

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