L’atteggiamento dei giovani verso il lavoro è cambiato. Se avevamo qualche sentore già alcuni anni fa, il periodo pandemico ha impresso un’accelerazione dovuta a fattori strutturali e a un cambiamento di aspettative. Alle conclusioni di varie indagini si è aggiunta negli ultimi giorni di grande calura estiva la ricerca svolta dall’associazione dei direttori del personale che raggruppa manager di gestione risorse umane di grandi aziende.



La nuova fase del mercato del lavoro italiano è segnata da due nuovi effetti che restringono la disponibilità dell’offerta di lavoro. Il fattore principale è dovuto al presentarsi della curva demografica con classi di età meno numerose di quelle che hanno preceduto. A questo si aggiunge un mismatching formativo che accentua le distorsioni che già prima si registravano con poche persone formate al livello terziario, pochi laureati in materie tecnico-scientifiche, ecc. Fenomeni che contribuiscono a rendere ancora più urgente la necessità di aumentare il tasso di occupazione complessivo (restiamo di 10 punti sotto la media Ue), in particolare quello femminile. Cause strutturali che portano l’offerta di lavoro ad avere più “potere contrattuale”.



Il rilievo fatto dai dirigenti d’azienda interpellati su come vanno i colloqui per l’assunzione di giovani segnala questo cambio di situazione con una battuta. Se prima i colloqui finivano con il rappresentante dell’impresa che diceva al candidato “grazie, le faremo sapere”, adesso la situazione si è invertita ed è il candidato che, sempre più spesso, dopo una serie di domande sul suo ruolo aziendale e le condizioni di lavoro dichiara che si prende tempo per valutare e “farà sapere”.

La ragione di quanto registrato dai direttori HR è da cercarsi nel mutato atteggiamento verso il lavoro che è emerso nella fase post-Covid. In sintesi la questione salariale, che pure mantiene una sua importanza, viene dopo aver posto i problemi legati alla collocazione aziendale, alla chiarezza sui percorsi di formazione e crescita, alla conciliazione tempi di vita e di lavoro e al valore sociale dell’impegno dell’impresa.



Non sono scelte che annullano il peso del valore economico assegnato al lavoro. È sempre dei giorni scorsi l’osservazione del Rettore dell’Università Bocconi che sottolinea come sempre più i migliori laureati dell’ateneo si rivolgono all’estero perché trovano condizioni economiche e contrattuali migliori. È un’osservazione che il sistema universitario milanese aveva già avanzato richiamando il sistema economico e politico cittadino ad aumentare l’attrattività delle condizioni cittadine per trattenere più giovani in uscita dai percorsi universitari.

Il cambiamento di approccio che dimostrano i giovani verso il lavoro e le condizioni che vengono proposte dalle imprese aprono tematiche nuove nell’organizzazione del lavoro. Le imprese devono velocemente adeguare le proprie scelte se vogliono reclutare nuove risorse produttive e riuscire anche a mantenere nel tempo i rapporti di lavoro avviati. A latere dei nuovi atteggiamenti dei nuovi lavoratori vi è anche un’accentuata mobilità che riguarda chi è già inserito nelle imprese e trova solo attraverso continui spostamenti aziendali la possibilità di una crescita professionale o comunque un miglioramento delle condizioni lavorative.

Potremmo partire da quanto sta cambiando nella richiesta che le imprese stanno facendo per la selezione del nuovo personale a tutti i livelli. Rispetto ad alcuni anni fa, basta scorrere gli annunci di lavoro e fare i confronti: anche per lavori meramente esecutivi sono richieste attitudini sempre più spiccate. Capacità di problem solving, disponibilità alla collaborazione, capacità di leadership: insomma, si chiede al lavoratore di avere cognitive skills da mettere a disposizione del suo impegno lavorativo oltre alle capacità tecniche.

È possibile che se questo cambiamento riguarda profondamente il modo d’essere del lavoro non riguardi anche l’impresa come momento collettivo di organizzazione del lavoro? Possibile che possa rimanere in funzione un’organizzazione del lavoro tutta verticale di comando e controllo di fronte alla richiesta ai lavoratori di avere capacità relazionali più sviluppate, ma soprattutto di metterle a disposizione nella attività prestata?

Oggi siamo ancora nel mezzo di una fase di cambiamento in cui la chiarezza degli obiettivi resta incerta. Le imprese registrano un cambiamento di atteggiamento verso il lavoro, con domande che riguardano aspetti di conciliazione fra lavoro, vita famigliare, organizzazione sociale più in generale. Certo il lavoro mantiene la caratteristica di essere il luogo privilegiato della relazionalità del nostro essere sociale e assorbe energia e disponibilità al mettersi in gioco delle persone.

Le imprese che hanno affrontato il problema hanno colto come la sfida riguarda sia il ridisegno degli spazi lavorativi per essere più portati alla collaborazione reciproca, ma anche la messa in discussione del sistema di comando e controllo che ancora governa l’organizzazione.

Restano poi aspetti “hard” che si tende a mettere sotto il tappeto. Possibile che un laureato economista o ingegnere (i più richiesti dalle imprese) che ha fatto il suo stage curricolare per laurearsi si senta proporre come primo contratto uno stage a 600/800 euro mese? Forse anche partendo da qui potremmo rendere più attrattivo il nostro sistema economico per quei giovani che hanno ritenuto giusto investire negli studi.

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