Fare previsioni sulle prospettive dell’occupazione per il 2025 può sembrare un azzardo. Gli scambi commerciali interni ai Paesi europei subiscono le conseguenze del sostanziale fallimento della politica economica fondata sull’illusione di una transizione ambientale e digitale capace di generare benefici superiori ai costi sociali. Costruirne un’altra non sarà affatto semplice tenendo conto dello scenario geopolitico caratterizzato, nel migliore dei casi, dalle guerre commerciali che avranno un impatto negativo sulla domanda di beni e servizi. Per lo scopo gli Stati Uniti e la Cina sono in grado di mobilitare risorse di gran lunga superiori rispetto all’Unione europea, caratterizzata dall’instabilità politica dei Paesi leader e impegnata a far rispettare i vincoli per i bilanci pubblici dei Paesi aderenti previsti dal Patto di stabilità. Sullo sfondo rimane la speranza di compromessi ragionevoli per le guerre in corso in Ucraina e nel Medio Oriente.
Tutto sommato l’Italia ha dimostrato di cavarsela egregiamente nel contesto dato. Il tasso di crescita dell’economia rispetto al 2019 è risultato superiore alla gran parte dei Paesi sviluppati per il concorso offerto dalle esportazioni e dal settore delle costruzioni nella fase di uscita dal Covid-19 e da turismo e ristorazione nei due anni recenti. La flessibilità delle nostre imprese manifatturiere, capaci di vendere una varietà di prodotti in contesti diversi, superiore a quelle degli altri Paesi sviluppati, e la riduzione delle mete turistiche per motivi di sicurezza, hanno rappresentato, anche in modo paradossale, due opportunità per la crescita della nostra economia. L’aumento del tasso di occupazione nel medesimo periodo, circa tre punti percentuali equivalenti a 1,1 milioni di posti di lavoro, è risultato in linea con quello dell’economia, e in parallelo è diminuito di un importo equivalente il numero delle persone in cerca di lavoro.
È migliorata anche la qualità dei posti di lavoro. Quelli a tempo indeterminato (+1,4 milioni) hanno registrato una crescita superiore in grado di compensare la perdita di 290 mila contratti a termine. I nuovi posti di lavoro sono equamente suddivisi tra maschi e femmine. Nelle Regioni del Mezzogiorno, e non accadeva da oltre 20 anni, il tasso di incremento è risultato superiore a quello delle regioni del Nord Italia.
Il punto debole del mercato del lavoro è rappresentato dal recupero lento dei salari rispetto al tasso di inflazione (circa il 18%) del biennio 2021-2022. Nei due anni successivi la dinamica dei salari, grazie ai numerosi rinnovi contrattuali, è risultata superiore a quella dei prezzi, ma il divario con quest’ultima rimane ancora ampio, circa 7 punti nella media di tutti i settori. Alla tutela dei salari netti fino a 35 mila euro anno ha parzialmente contribuito lo sgravio dei contributi previdenziali sulle buste paga disposto dalle ultime Leggi di bilancio.
La crescita dell’occupazione ha favorito il buon andamento dei consumi interni e il recupero della redditività delle imprese che è risultato superiore a quello dei redditi da lavoro. L’aumento equo delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti continua a rimanere un nervo scoperto delle relazioni sindacali.
Cosa ci dobbiamo aspettare per il prossimo anno? In attesa di una ripresa delle esportazioni la tenuta della nostra economia dipenderà essenzialmente dall’andamento della domanda interna e dal contributo della quota degli investimenti del Pnrr che sono nella fase di accelerazione per rispettare gli impegni di spesa che devono essere onorati entro il 2025.
Un secondo bacino di risorse sottoutilizzate è rappresentato dalle tecnologie digitali. È la strada primaria degli investimenti per far crescere la produttività e i redditi da lavoro in interi settori dei servizi e nel sistema delle piccole imprese. Che dipende, però, essenzialmente dalla quota di imprenditori e lavoratori che hanno le competenze per trasferire e utilizzare le tecnologie nelle organizzazioni del lavoro.
Sul versante dell’occupazione le previsioni Excelsior Unioncamere-ministero del Lavoro segnalano un rallentamento delle assunzioni previste dalle imprese che mantengono comunque il segno positivo. L’aspetto contraddittorio è sempre rappresentato dalla quota del personale che le imprese faticano a reperire (mismatch) che mette in evidenza un potenziale di crescita superiore a quello consolidato nei dati Istat. Il gap è motivato da tre fattori: la riduzione della popolazione in età di lavoro; la carenza di lavoratori dotati di competenze coerenti con le professionalità richieste dalle imprese; l’indisponibilità a effettuare prestazioni lavorative disagiate o comunque poco appetibili. Il mismatch è praticamente raddoppiato . dal 24 al 47% sul totale delle potenziali assunzioni – rispetto al 2019. Sono tendenze destinate ad aumentare per effetto dell’invecchiamento della popolazione e dell’impatto delle tecnologie digitali.
Nel corso dei prossimi 15 anni è previsto un esodo di lavoratori anziani per motivi di pensionamento di gran lunga superiore al potenziale dei giovani in uscita dai percorsi scolastici. La ricostruzione della popolazione lavorativa diventa pertanto una priorità assoluta per reggere i fabbisogni della produzione e il numero dei contribuenti per finanziare l’aumento della spesa sociale pensionistica, sanitaria e assistenziale. In via teorica potrebbe rappresentare la condizione ideale per aumentare l’impiego delle donne e dei giovani, ma queste disponibilità sono per la gran parte collocate nei territori del Mezzogiorno mentre registrano tassi di impiego nelle regioni del Nord in linea con le medie europee. Allo stato attuale sono le migrazioni provenienti dall’estero, e quelle interne dal sud verso il nord, a offrire una parziale risposta al problema. Ma le seconde comportano il prezzo dello spopolamento delle aree interne più deboli con effetti irreversibili per lo sviluppo locale. Il nodo da sciogliere, tutt’altro che semplice, rimane quello di aumentare la capacità di attrazione degli investimenti nelle regioni del Sud e, in parallelo, di incrementare le competenze delle risorse umane soprattutto in questi territori.
Per questi motivi, la costituzione della Zona economica speciale (Zes) per tutto il territorio del Mezzogiorno assume il ruolo di interesse primario per tutta la nazione.
In sintesi: nel contesto attuale la crescita dell’economia italiana dipende essenzialmente dalla nostra capacità di ottimizzare l’utilizzo delle risorse finanziarie, tecnologiche e umane disponibili; la potenzialità della domanda di lavoro risulta superiore all’offerta disponibile, ma incontra ostacoli nei divari territoriali, di genere e generazionali; l’adeguamento delle competenze dei lavoratori è necessaria per reggere l’impatto delle tecnologie digitali, ma assume una rilevanza primaria per aumentare l’attrattività degli investimenti nel Mezzogiorno.
Queste priorità comportano un cambio di paradigma rispetto agli orientamenti delle politiche economiche della seconda decade degli anni 2000 che hanno destinato un’abnorme mole di risorse pubbliche per il sostegno dei redditi penalizzando gli impieghi produttivi. Negli anni recenti qualcosa è cambiato, ma l’inversione di marcia non procede con l’intensità necessaria.
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