Le dimensioni della crescita sono fuori discussione: in termini tendenziali, rispetto a 12 mesi fa, il numero di occupati è aumentato di 494mila unità (+0,8% il tasso di occupazione). E però stiamo ancora in coda all’Europa perché confermiamo il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni che si è attestato al 66,3%, restando lontano di circa 10 punti dalla media Ue (75,4%); peggio va per l’occupazione femminile, perché tra i 20 e i 64 anni lavora solo il 56,5% delle donne, a fronte del 70,2% in media dell’Ue, e il divario tra donne e uomini è quasi il doppio della media europea. L’Italia con il 56,5% di tasso di occupazione delle donne tra i 20 e i 64 anni resta lontana dalla Germania (77,4%) e dalla Francia (71,7%), ma anche dalla Spagna (65,7%).
Il divario nell’occupazione femminile in Italia è ancora trainato dal Sud: tra i 20 e i 64 anni lavora nel Mezzogiorno il 39% delle donne a fronte del 67% medio al Nord (62,6% al Centro). A trainare la crescita le fasce d’età più adulte, in particolare le 55-64enni. Malgrado il generale innalzamento dei livelli occupazionali tra giovani e adulte, si registra una diminuzione rilevante nelle fasce d’età centrali: tra le 35-44enni l’occupazione cala del 7,9%. Un dato riconducibile agli effetti che i processi demografici in corso stanno determinando sul mercato del lavoro. Con la sola esclusione della classe 55-64 anni, la popolazione femminile è infatti diminuita in tutte le fasce d’età considerate, in particolare quella compresa tra i 35 e i 44 anni, dove il calo ha sfiorato il 12%.
La conseguenza più immediata – ed è già molto evidente – è un’accelerazione dei processi di invecchiamento della forza lavoro dovuta al rapido slittamento in avanti delle lavoratrici più adulte. Per non parlare dei Neet di cui deteniamo, o quasi, il record con oltre 2 milioni di giovani che non studiano e non lavorano. Vero è che il tasso di disoccupazione basso è in realtà determinato dal fatto che sempre meno persone cercano lavoro, ma questo perché sono scoraggiate spesso senza un reale motivo o non interessate a trovare occupazione.
Su 38 milioni circa di italiani in età da lavoro, ne lavorano solo circa 24 milioni: e sempre vero è che nessuna economia sviluppata ha un tasso così alto di inattivi e soprattutto sempre vero è che per una famiglia con Isee basso è sconveniente accettare un lavoro, perché dichiarando di più, magari il coniuge a carico, si possono perdere benefici anche di circa 1.000 euro mese. L’aumento poi del debito causato dalle decontribuzioni e agevolazioni (sempre attinte dalla spesa pubblica) non investendo e con scarsa produttività, pone problemi seri che a ben vedere schiacciano ancora di più la possibilità della forza lavoro femminile di aumentare.
La recente Legge di bilancio stanzia ancora bonus, ma solo per l’anno che sta per iniziare, senza porsi il problema di andare a sistema almeno fino a che non raggiungiamo i tassi di occupazione maschile con relativi contributi per poi affrontare se proprio si vuole la possibilità di raggiungere un’età pensionistica e contributiva decente e non ricadere nel tasso di povertà assoluta come ancora oggi troppe donne ne sono la maggioranza. Più donne al lavoro, più economicamente indipendenti e non più ostaggio di uomini aggressivi, potranno forse significare meno povertà e dunque bisogna smetterla con i sussidi e investire su formazione e anche demografia.
La demografia è importante perché crescita debole e debito che aumenta si basano proprio sulla denatalità. C’è una soluzione che si chiama occupazione femminile perché solo così si inverte la curva demografica. L’occupazione femminile non solo è un problema di quantità, ma anche di qualità. Abbiamo un esercito di pensionate povere, cioè di donne, che per fortuna vivranno più a lungo, ma siccome hanno avuto una carriera con lavori di bassa qualità con basse contribuzioni, non avranno la capacità di mantenersi. E già ora è così perché hanno e avranno bisogno di altre donne che si prenderanno cura di loro.
È questo il ciclo che già è rappresentato dal numero enorme delle caregivers, il faticosissimo supporto al welfare state. Dobbiamo bloccare questo ciclo e farlo diventare virtuoso con più donne che entrano e restano nel mercato del lavoro e hanno un riconoscimento del loro ruolo nella società con strumenti di flessibilità strutturali e fondi sociali europei rinnovati e mirati per le italiane.
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