Gli italiani che hanno un posto di lavoro non sono mai stati così tanti come quest’anno. Abbiamo aree del Paese dove la disoccupazione è al di sotto del minimo ritenuto frizionale dalle teorie economiche. L’ottimismo potrebbe essere il segno prevalente in vista del nuovo anno, mentre invece qualcosa non torna nelle previsioni.
Per chi segue gli andamenti del mercato del lavoro vi sono due dati che preoccupano. Sia le ore di cassa integrazione che l’andamento del lavoro somministrato sono spie che indicano l’inizio di un periodo difficile per l’occupazione.
Ecco che allora il primo augurio per il nuovo anno è che si torni a creare lavoro e che sia di qualità. La priorità è avere una politica industriale che difenda e sostenga il rilancio dell’industria italiana a maggior valore aggiunto e che questa diventi anche priorità delle politiche europee. Non è solo l’automotive, pure di grande rilevanza, ma anche moda, design, meccatronica e metalmeccanica che chiedono sostegno per ricerca e investimenti. Da qui passa la possibilità di avere una ripresa della produttività e della tenuta del nostro sistema produttivo.
Investimenti del Pnrr e riforme dei servizi pubblici (dalla giustizia alla sanità) sono poi i pilastri per una crescita della produttività di sistema che resta uno dei deficit del Paese rispetto a quelli più direttamente concorrenti. Un modello di crescita dell’occupazione basato sui servizi a basso valore aggiunto e imprese che cercano di essere competitive comprimendo il costo del lavoro è ingiusto e, soprattutto, perdente.
Politica industriale e riforme per la produttività sono le premesse indispensabili per aprire una nuova stagione per i salari. È questo il secondo tema che deve trovare nell’anno che ci aspetta una risposta adeguata. Per essere compatibile con la nostra situazione economica non può che passare da una nuova fase di crescita economica che restituisca al lavoro quanto negli ultimi anni è stato sottratto da rendite e profitti.
Ritenendo che assicurare un modello più efficiente di contrattazione sindacale sia la via migliore per dare un orizzonte certo alla difesa dei salari e anche alla crescita dei corpi intermedi che rappresentino imprenditori e lavoratori l’augurio è che si fissino paletti reali per il riconoscimento dei contratti più rappresentativi come emerge dalla banca dati Cnel. Su questa base sarà possibile anche fissare i salari minimi di riferimento e, soprattutto, rilanciare la contrattazione territoriale per assicurare una modulazione che tenga conto del costo della vita reale delle diverse aree del Paese.
Terzo tema aperto nel mondo del lavoro reale è quello degli orari. La richiesta di un lavoro sempre più rispettoso della conciliazione con i tempi di vita e della famiglia è sempre più presente nelle ragioni di dimissioni per la ricerca di una nuova occupazione.
Con troppa facilità si passa dalla esigenza di fare almeno due giorni di smart working all’obiettivo di portare a quattro i giorni di lavoro settimanali con una riduzione dell’orario. Sono sicuramente obiettivi importanti e che dovranno trovare sperimentazioni e realizzazioni operative. Aprono però un problema generale cui la ricerca di soluzioni personali e la scomparsa di modelli collettivi non aiutano a trovare soluzioni condivise. Se dovesse proseguire la crescita occupazionale in servizi a bassa produttività ci troveremmo di fronte a una minoranza di lavoratori che fra industria e servizi avanzati potrebbero fruire di lavoro a distanza, orario flessibile e sperimentazioni di riduzione di orario. Ciò a fronte di una maggioranza di lavoratori che dovrebbero assicurare servizi al resto della società quando questa non lavora, sia per il settore commerciale che socio-sanitario o per servizi pubblici in senso lato. Tema di contrasto già evidente fra esigenze dei clienti della grande distribuzione e lavoratori del settore.
L’augurio è che si esca da facili proposte ideologiche giocate su interessi corporativi per avere uno sguardo e proposte capaci di immaginare una società più giusta per tutti i ruoli lavorativi. L’individualismo non aiuta a trovare soluzioni giuste, l’augurio è che si tornio a cercare modelli sociali pensati sul noi.
Per il 2025 abbiamo però già una certezza e un’apertura di speranza. La certezza è che contro tutte le riflessioni fatte avremo la celebrazione del referendum contro il Jobs Act. Un referendum che ci riporterà a uno scontro inutile e dannoso perché fuori tempo e che non tiene minimamente conto dell’attuale situazione del lavoro. In più obbliga a rinviare una ripresa possibile di analisi sindacale unitaria delle politiche del lavoro necessarie. L’augurio sarebbe di non procedere a fare il referendum, se impossibile che almeno porti i promotori a rivedere le posizioni ormai antistoriche che li hanno animati.
L’apertura di speranza viene dalla possibilità che la proposta di legge popolare avanzata dalla Cisl per la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese possa essere approvata dal Parlamento. Sarebbe un segnale importante per aprire una nuova fase delle relazioni aziendali, ma soprattutto sarebbe una risposta positiva all’esigenza che sempre di più emerge dai lavoratori di condividere con l’azienda la mission perseguita. Sia per avere chiarezza sulle possibilità di crescita delle esperienze personali che per condividerle con i traguardi dell’impresa.
La strada della crescita della produttività e della contrattazione di secondo livello come strada per la crescita dei salari passa anche da qui. Le basi per un patto per lo sviluppo che dalla fabbrica passi al territorio troverebbero un nuovo slancio.
Buon 2025 e buon lavoro.
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