Quello che attende Raffaele Fitto, nuovo commissario europeo per la Coesione e Vicepresidente esecutivo, non sarà certo un compito semplice. Le sue deleghe, al di là di quello che si pensa, sono cruciali per il futuro economico e politico dell’Europa.
La coesione è uno strumento che impiega circa un terzo del bilancio comunitario e che ha favorito lo sviluppo di regioni disagiate e l’integrazione di nuovi Stati nell’Unione, rendendola più forte e resiliente. Ma questo strumento, nato nel lontano 1994, sta mostrando alcuni suoi limiti strutturali, a cui il neo commissario dovrà cercare di porre rimedio.
La politica di coesione è il DNA del progetto europeo, riguarda la solidarietà tra i territori europei e la promozione della convergenza tra le sue regioni. Il bilancio assegnato a questa politica dovrebbe riflettere l’ambizione dell’Ue di sostenere tutti i suoi territori e abitanti, ovunque vivano, e non dovrebbe essere inferiore a un terzo del bilancio totale dell’Ue.
Quando implementata insieme ai Governi locali e regionali, la politica di coesione è l’esempio più ovvio del valore aggiunto dell’Unione europea per i cittadini e gli abitanti. È un modo potente per invertire l’euroscetticismo e la geografia del malcontento. La politica di coesione è e dovrebbe rimanere una politica a lungo termine che supporta investimenti strutturali, con sufficiente prevedibilità per i beneficiari. I decisori locali e regionali devono essere in grado di progettare la loro politica di sviluppo territoriale su investimenti della politica di coesione prevedibili e garantiti.
Si discute molto sul ruolo che le regioni dovrebbero avere nella gestione dei fondi. Ursula von der Leyen è stata molto chiara, a Strasburgo, nel suo discorso di investitura, quando ha parlato della centralità che devono avere le regioni, e proprio per questo ha pensato a Fitto per quel ruolo, grazie alla sua grande esperienza sul tema. Ma allo stesso tempo, e in questo il nostro Paese rappresenta un esempio fulgido, occorrerebbe anche velocizzare le procedure amministrative, con una semplificazione nella gestione e nella spesa dei fondi da parte degli organi amministrativi preposti allo scopo.
Per quanto riguarda la politica di coesione, per il periodo 2021-2027 la Commissione europea ha previsto ben 74 misure concrete di semplificazione per ridurre gli oneri amministrativi. Ne sono esempi il maggiore ricorso alle opzioni semplificate in materia di costi, una combinazione più flessibile delle sovvenzioni con gli strumenti finanziari, disposizioni sull’audit unico e la riduzione del numero di verifiche.
Le difficoltà nella spesa e nella gestione dei fondi colpiscono paradossalmente di più proprio le regioni che di quei fondi avrebbero maggiore bisogno, come quelle del Sud Italia, che da tempo mostrano una scarsa capacità di spesa proprio a causa delle difficoltà burocratiche dei processi di gestione e spesa dei fondi.
Nel ciclo di politica di coesione dal 2007 al 2013 (secondo Open Coesione) risultano monitorati al momento (gennaio 2024) 60,4 miliardi di euro spesi a fronte dei 75,7 disponibili. Nel ciclo che va dal 2014 al 2020 a fronte di 125,7 miliardi disponibili fra risorse nazionali e europee, ne risultano monitorati 59,2 (dato aggiornato al 18 gennaio 2023). Per quanto riguarda l’attuale programma, la cifra spesa finora sarebbe di poco superiore all’1%. Se si pensa invece al caso del Pnrr, in cui il nostro Paese è al primo posto in Europa sia come pagamenti che come spesa, il paragone è davvero impietoso. Per questo molti sarebbero favorevoli a proporre uno schema per la coesione simile a quello usato, almeno dal nostro Paese, e sotto l’abile regia di Fitto, di maggiore centralizzazione nella gestione dei fondi, fermo restando l’assoluto coinvolgimento delle regioni e degli enti locali. E questo partirebbe da una necessaria maggiore razionalizzazione dei detti fondi.
Un’opzione più promettente sarebbe quella di ridurre il numero di fondi, unendo quelli che hanno obiettivi ampiamente sovrapposti. Ad esempio, c’è un caso per unire i tre fondi sociali (ESF+, Just Transition Fund e Social Climate Fund) in un nuovo “Fondo sociale europeo” con un forte orientamento al clima. Oltre a ridurre il numero di fondi, c’è la necessità di armonizzare regole e procedure. Innanzitutto, tutti i fondi dovrebbero seguire lo stesso modello di erogazione. Questo potrebbe essere un rimborso basato sui costi sostenuti o sul raggiungimento degli obiettivi. In secondo luogo, le norme specifiche per i fondi dovrebbero essere ridotte al minimo e incluse come capitoli in un unico regolamento. Ciò faciliterebbe la combinazione di fondi diversi pur mantenendo l’assegnazione di stanziamenti per priorità specifiche.
Razionalizzare per migliorare l’efficacia, seguendo l’esempio virtuoso del Pnrr, potrebbe essere il primo passo per arrivare a una nuova politica di coesione che sarà quasi certamente uno dei punti centrali di questa Commissione che si sta insediando in questi giorni, con il nostro Fitto in uno dei ruoli forse più delicati e importanti.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.