Maria, Pinuccia, Lia, Katia e Antonella sono cinque sorelle, unite da un grande affetto, rafforzato da una difficile situazione familiare. Vivono a Palermo, senza genitori, all’ultimo piano di un palazzo dove allevano colombi per sopravvivere. La vita scorre serena, dietro ai bisogni, alle passioni e ai desideri che ogni età regala loro. Un giorno di una calda estate, le sorelle decidono di rinfrescarsi raggiungendo, senza permesso, il mare e la spiaggia di un bagno privato. Sarà proprio allora che, per una banale disattenzione, le loro esistenze cambieranno per sempre, di fronte al dramma di una tragedia che non potranno più dimenticare. 



Dodici attrici si alternano in questo film meravigliosamente triste, firmato da Emma Dante, alla sua seconda prova cinematografica, dopo una lunga carriera teatrale in terra siciliana. Un film che inizia leggero, con le storie di una famiglia senza genitori. Un ménage tra sorelle che lascia ampio spazio all’affetto tenero della cura.



Le più grandi, consapevoli di un ruolo che non dovrebbe appartenere loro, attente ai bisogni delle più piccole. E ognuna, con l’energia di un’età spensierata, pur in mezzo alle difficoltà. Basta un sorriso, un abbraccio o un gioco per disperdere qualunque ansia che serpeggia in una coraggiosa famiglia abbandonata dagli adulti.

Una manciata di scene per descrivere, con la naturalezza dei capolavori, la vita quotidiana in equilibrio sul domani, fino al giorno della tragedia, che cambia per sempre e in un attimo il loro futuro.

Dall’infanzia all’età adulta. Emma Dante ci accompagna, con un cambio di scena, fino al mondo dei grandi. Un mondo, che nell’immaginazione ingenua dell’età acerba nemmeno esisteva. Un mondo nuovo, che si è dovuto abituare a un’assenza ancora più importante di quella dei genitori. Un mondo che ha dovuto fare i conti con la realtà. Un mondo che ha chiesto il conto, offrendo il fianco, anzitempo, ai bilanci esistenziali. 



Ancora, con grande abilità narrativa e freschezza interpretativa, seguiamo così il dolore delle bambine diventate donne, segnate dal passato. Indurite dalla sofferenza, straziate dal confronto delle loro vite, così diverse, le sorelle affrontano i problemi di un’altra stagione della vita. 

Tra di loro, il sorriso sembra perso per sempre di fronte al buio di un’esistenza infelice. Le donne ci sono, le une per le altre, si trovano, si guardano, si danno una mano. Resistono, con gli occhi velati di tristezza, paura, rancore e senso di colpa. 

E ancora una volta la tragedia, che a volte presenzia ostinatamente nella vita di alcuni, ci accompagna, nella terza parte del film, fino alla vecchiaia. La battaglia della felicità è ormai persa. Le sorelle, quelle che rimangono, sono ancora lì. Le une per le altre, senza più la forza di combattere. Unite, come allora, dall’essere una sola cosa, una sola storia, un solo amore di famiglia.

Tre grandi stagioni, raccontate nel film con un perfetto equilibrio, che ci parlano della vita e della differente capacità delle persone di adattarsi, di perdonarsi, e di superare il dolore. Un qualità, quest’ultima, che aiuta a ricominciare, a guardare avanti, a crescere. Oppure, al contrario, quando non c’è, che spinge sempre più verso il basso, in una spirale di scheletri che dà i brividi. Una qualità che non si insegna, che non è un merito ma una fortuna e che spesso è ostile alle persone più fragili. 

Le sorelle Macaluso, film in concorso a Venezia, è una riuscita esperienza registica, una commovente prova attoriale e un equilibrato racconto, essenziale nello stile, spesso emozionante e mai eccessivo.

Un ottimo film, da vedere e da premiare, accompagnato da belle immagini e musiche azzeccate, che ci farà pensare, commuovere e tornare a immaginarci il futuro.