I concerti di Taylor Swift a Milano hanno un valore anche per chi non saprebbe ripetere nemmeno una strofa della sua canzone più famosa. Quello che ruota interno al concerto è un documento preziosissimo su quello che è successo all’economia negli ultimi anni. L’organizzatore dei concerti ci dice che almeno il 14% dei 125mila fan attesi a San Siro sono americani perché il costo del biglietto negli Stati Uniti, anche 2mila dollari per un posto lontano dal palco, equivalgono al concerto in Italia, più i voli arei, più l’hotel e qualche giorno di vacanza. Non è male scambiare un concerto di una serata con una mini-vacanza a 50 chilometri dal lago di Como o a due ore di treno da Venezia o Firenze.
L’inflazione negli Stati Uniti è stata un multiplo di quella italiana ed europea e i rincari, anche dei beni di prima necessità, hanno reso l’America una destinazione di lusso anche per gli europei benestanti. Viceversa le destinazioni europee sono diventate la vacanza “intelligente” per schiere di americani che non credono ai loro occhi quando leggono i menù dei ristoranti italiani o i prezzi dei concerti. Sappiamo che gli Stati Uniti stamperanno un deficit superiore a qualsiasi altro Paese sviluppato anche quest’anno e che hanno spinto sul deficit anche con l’economia in piena espansione; la crisi energetica europea negli Stati Uniti, peraltro, non è mai esistita, fondamentalmente grazie a una produzione di idrocarburi in salita vertiginosa e a una “transizione green” all’acqua di rose.
Le politiche monetarie e fiscali americane impattano il resto del mondo anche se l’Europa passa alla “austerity”. L’inflazione americana, come testimonia l’esodo dei fan di Taylor Swift, non si ferma sulla costa orientale ma arriva in Europa; i prezzi americani sono portati da visitatori che rendono i centri città delle mete turistiche proibitivi per i residenti europei o italiani. Questo è solo un piccolo esempio di una realtà molto più grande perché le materie prime, per esempio, vengono investite da quello che succede negli Stati Uniti e poi presentano il conto a tutti. Lo stesso si può dire dell’effetto ricchezza di una borsa americana che sale ininterrottamente alimentando i consumi. È questo il quadro in cui alcuni Paesi (pensiamo all’India sui beni alimentari, ma non solo) hanno deciso di mettere un limite alle esportazioni di questo o quel bene; è il modo per sottrarre i prezzi interni alle dinamiche di quello che accade fuori. È un trend di cui sentiremo ancora parlare.
Primarie istituzioni finanziarie negli ultimi mesi si sono dedicate a misurare l’impatto dei tour di Taylor Swift su Pil e sui consumi. Senza voler togliere nulla ai meriti artistici della cantante, un fenomeno di questa portata, che “sposta il Pil”, probabilmente sarebbe impensabile in un quadro di “tassi troppo alti” o di liquidità in contrazione; c’è una fascia di popolazione che dopo anni di mercato del lavoro esuberante, borse che salgono e stimoli fiscali produce tour e concerti che impongono prezzi a 2mila dollari a biglietto o di più. Le politiche “post-pandemiche” hanno molto più che proporzionalmente beneficiato le fasce di popolazione con redditi e patrimoni alti rispetto ai ceti meno abbienti che invece hanno pagato con l’inflazione. È un elemento di riflessione interessante che fa sorgere qualche dubbio su a chi servano tassi bassi e stampa di moneta per tenere artificialmente alti gli asset finanziari.
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