CHE COS’È LA LEGGE 194 SULL’ABORTO E QUANDO È STATA APPROVATA

Correva l’anno 1978 e il 22 maggio in Parlamento venne approvata una delle leggi più discusse, controverse e storiche della Repubblica: la legge sull’aborto, conosciuta come la legge 194 per “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, disciplina per la prima volta nella storia d’Italia la possibilità di interrompere la vita del nascituro entro un limite di settimane dal concepimento. Assieme alla legge sul divorzio, anche quella sull’aborto venne poi sottoposta alla votazione dei cittadini nei referendum con protagonista il Partito Radicale di Marco Pannella: tutti temi presenti nel docu-film “Romanzo Radicale” in onda questa sera su Rai 3, dove tra l’altro sarà possibile ripercorrere proprio gli anni intensi di attività di protesta e campagna elettorale del leader radicale sul fronte aborto.



Il testo ufficiale della Legge approvata il 22 maggio 1978 prevede che la donna possa ricorrere all’aborto in una struttura pubblica (ospedale o poliambulatorio convenzionato con la Regione di appartenenza), nei primi 90 giorni di gestazione; tra il quarto e quinto mese è possibile ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza solo per motivi di natura terapeutica. La legge impone che il medico che esegue l’interruzione della gravidanza «è tenuto a fornire alla donna le informazioni e le indicazioni sulla regolazione delle nascite» (art.14), mentre lo stesso ginecologo può esercitare l’obiezione di coscienza (ad esclusione del fatto in cui l’intervento sia «indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo»). Il testo finale della legge 194 però è “troppo poco libertario” secondo i Radicali di Marco Pannella tanto che negli anni successivi si impegnano più volte per cercare di abolire qualunque restrizione al diritto delle donne di ricorrere all’Ivg. 308 voti a favore e 275 contrari alla Camera, 160 sì contro 148 no al Senato: con alcuni parlamentari della Democrazia Cristiana che a scrutinio segreto votano assieme ai proponenti della legge, ovvero PSI, PLI, DP, PRI, PCI, PSDI.



ABORTO, IL REFERENDUM DEI RADICALI E LO SCONTRO “RIAPERTO” NEL 2022

La legge 194 sull’aborto è composta da 22 articoli ed è praticamente immutata da ormai 45 anni, al netto dei vari tentativi per “correggerla” sia da anti-abortisti che da pro-choice: verso la fine degli Anni Ottanta il Movimento per la Vita raccolse le firme e – sulla scia degli altri quesiti referendari proposti dal Partito Radicale di Marco Pannella – propose il Referendum per abrogare la legge 194 sul diritto di aborto in Italia. Il quesito fu molto lungo e venne presentato agli elettori dentro i 5 Referendum abrogativi del 17 maggio 1981: «Volete voi l’abrogazione degli articoli 4, 5, 6, limitatamente alle parole “dopo i primi novanta giorni”, “tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro”, “o psichica”; 8,12,13,14,15,19, primo comma, limitatamente alle parole “negli articoli 5 o 8”; terzo comma: “Se l’interruzione volontaria della gravidanza avviene senza l’accertamento medico dei casi previsti dalle lettere a) e b) dell’articolo 6 o comunque senza l’osservanza delle modalità previste dallo articolo 7, chi la cagiona è punito con la reclusione da uno a quattro anni.”; quarto comma: “La donna è punita con la reclusione sino a sei mesi.”; quinto comma: “Quando l’interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna minore degli anni diciotto, o interdetta, fuori dei casi o senza l’osservanza delle modalità previste dagli articoli 12 e 13, chi la cagiona è punito con le pene rispettivamente previste dai commi precedenti aumentate fino alla metà. La donna non è punibile.”; settimo comma: “Le pene stabilite dal comma precedente sono aumentate se la morte o la lesione della donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma” della legge 22 maggio 1978, n. 194, recante “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”?».



Il No al Referendum fu vincente con il 68% delle preferenze contro il 32% di chi invece intendeva abrogare e ridurre la possibilità di abortire: il tema ha diviso una nazione intera tanto all’epoca quanto in questi ultimi tempi, dove con la salita al Governo dell’esecutivo di Centrodestra è stato nuovamente riproposto il tema di una forte “ristrutturazione” della normativa (in realtà sempre escluso dalla stessa Premier Giorgia Meloni). Nasce tutto dalle parole in campagna elettorale della leader FdI che poneva all’attenzione la necessità di recuperare per esteso l’intera Legge 194, specie per le parti che salvaguardano il diritto all’obiezione di coscienza e al consenso informato della donna su tutte le possibilità alternative all’Ivg. «Abolire l’aborto? Sono stupefatta da queste reazioni abnormi, perché nessuno ha mai parlato di togliere diritti, ma semmai di ampliarli. Nessuno a sinistra pensa al diritto delle donne di essere madri senza rinunce troppo gravose? Nessuno a sinistra si accorge che il vecchio slogan femminista “maternità come libera scelta” è totalmente disatteso? Non vi sarà alcun cambiamento sulla legge 194 che regola l’aborto in Italia»: così ha risposto nelle scorse settimane al QN la neo-ministra per la Famiglia Eugenia Roccella, anche lei accusata di voler eliminare la legge 194 per le sue convinzioni Pro-life. Da Roccella a Meloni, il coro unito in difesa della Legge 194 è stato ribadito: non vi è alcuna intenzione di porre quanto ad esempio fatto negli Stati Uniti, dove di recente la Corte Suprema ha definito “incostituzionale” il diritto all’aborto sancito dalla sentenza del 1973 “Roe vs Wade”. Eppure è bastato sottolineare la necessità di portare a pieno “compimento” la Legge 194 per far scattare le “vecchie” divisioni in Italia tra pro/anti aborto: «È un’invenzione assoluta. In tutta la mia vita non ho mai detto che avrei messo mano a questa legge. Ho ritrovato un’intervista di una ventina d’anni fa – ha aggiunto -. Mi si chiedeva: “lei è favorevole a rivedere la 194?”. La risposta fu ed è “no, la voglio applicare“. Cioè la stessa risposta che do ancora oggi», così ha spiegato nell’ultimo libro di Bruno Vespa l’attuale Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.