Nei giorni scorsi l’attenzione mediatica si è molto concentrata sull’emendamento Costa. Si tratta di un atto parlamentare che deriva dalla direttiva 2016/343 del Parlamento europeo. Enrico Costa è figlio di Raffaele Costa, ultimo segretario del Partito Liberale Italiano. Attualmente è un deputato approdato ad Azione, proveniente da Forza Italia. Prima di Natale hanno votato a favore dell’emendamento i parlamentari della maggioranza e quelli appartenenti al vecchio terzo polo. Hanno votato contro Pd, 5 Stelle, Verdi e Sinistra Italiana. Ora la legge è al Senato. Le polemiche nascono dallo spauracchio della deriva autoritaria sottesa alla norma e da un fantomatico “bavaglio” che questa comporterebbe per la stampa.



L’emendamento Costa infatti vieta la pubblicazione del testo delle ordinanze di custodia cautelare e delle intercettazioni fino all’udienza preliminare. Il provvedimento restaura la situazione esistente fino al 2017, quando era proibito propagandare certi contenuti. Senza arrivare all’invito a comparire recapitato pubblicamente a Silvio Berlusconi mentre nel 1994 presiedeva a Napoli la conferenza internazionale sulla criminalità organizzata, basta pensare al giudice Ingroia, che ha rivelato, dopo la loro distruzione, il contenuto di alcune intercettazioni del presidente Giorgio Napolitano. Intercettazioni abusive da lui stesso ordinate.  Mi viene da dire “Maramaldo tu uccidi un uomo morto”. Solo questi due fatti ci bastano per capire il vulnus legale sanato, con l’emanazione di questo atto, rispetto alla presunzione di innocenza. Le misure cautelari non sono sentenze ma strumenti giudiziari per evitare la fuga, l’inquinamento delle prove e la reiterazione dei reati. Le misure cautelari, dopo la loro attuazione, sono soggette a revisione da parte del Tribunale del riesame, che le potrebbe addirittura annullare. Succede. Fate pure fact-checking se credete, ma la metà degli arrestati viene poi assolta. Senza contare che Il Web non dimentica. Gli atti rimbalzano nella rete in eterno. Il danno di atti irrilevanti processualmente ma pubblicati resterà anche dopo l’assoluzione piena.



La norma non prevede bavaglio, come dice l’opposizione, perché i giornalisti potranno pubblicare comunque le notizie senza limitazione e potranno illustrare nei particolari il contenuto delle ordinanze. Non potranno pubblicare integralmente il testo delle ordinanze. Sarà più difficile gettare il fango nel ventilatore mediatico. Di sicuro verranno limitati rapporti poco corretti tra pm e giornalisti. Non ci sarà danno per gli indagati. Infatti la pubblicazione integrale dell’ordinanza con intercettazioni allegate, prima della condanna, anzi prima della fine delle indagini preliminari, con il comportamento della stampa nostrana non è mai stato di giovamento a nessuno. Grazie a Costa magari, si tornerà a credere che le sentenze le facciano i giudici nei tribunali piuttosto che i pubblici ministeri e i giornalisti sui media.



Chi fa informazione dovrebbe avere ben chiara la differenza tra notizia e propaganda, tra giornalismo e militanza politica in salsa grillina. Il tanto peggio tanto meglio insito nel principio dell’uno vale uno alla fine porta alla partigianeria del più bieco populismo. Diritto di cronaca non significa radere al suolo le vite degli indagati per punirli, secondo il nostro metro, prima del processo.

Per concludere possiamo solo dire che la presunzione di innocenza è un cardine del nostro diritto millenario. E una cosa che i nostri antenati hanno insegnato al mondo. Difenderlo dagli attacchi dei manettari per convenienza elettoral-populista dovrebbe essere una cifra della nostra civiltà. Questo Governo dovrebbe coltivare l’intesa su questo argomento con Italia viva e Azione. Analogamente dovrebbe seguire il ministro Carlo Nordio, sulla cui imparzialità e assoluta fedeltà al diritto non è possibile dubitare, per riformare la nostra sofferente giustizia.

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