In Francia il tema del fine vita torna al centro del dibattito politico, ma indubbiamente sollecita precise prese di posizione anche a livello scientifico, sociale e religioso. Chi può stabilire che è giunto il momento di porre fine alla vita, anche alla propria vita, e con quali condizioni e motivazioni si può sollecitare una richiesta di questo tipo, capace ancora oggi di scuotere le coscienze di tutti. In Francia è tornato ad essere uno dei tempi più discussi, sia a livello politico, dal momento che il presidente Macron durante la campagna elettorale si era detto favorevole a cambiare la legge francese verso il modello belga di eutanasia, sia a livello legale, dove però si sono sollevate molte perplessità da parte di medici e psicologi, oltre che da parte della Chiesa cattolica.



Un tema antico e nuovo se già Seneca nelle sue Lettere a Lucilio affermava: “Proprio come sceglierò la mia nave quando mi accingerò ad un viaggio, o la mia casa quando intenderò prendere una residenza, così sceglierò la mia morte quando mi accingerò ad abbandonare la vita”. Ma da sempre la tradizione giudeo-cristiana, supportata da innumerevoli testimonianze scientifiche ha preferito l’incoraggiamento delle cure palliative, che permettono un pieno rispetto della dignità della persona e nello stesso tempo fanno dell’etica della cura la vera sfida della Medicina del futuro.



Anche in Francia, Stato particolarmente laico, esistono numerose disposizioni relative alla fine della vita, che possono essere sintetizzate in tre passaggi chiave: la circolare del 26 agosto 1986 sull'”organizzazione delle cure e del sostegno ai malati terminali”; la legge del 9 giugno 1999 “volta a garantire il diritto di accesso alle cure palliative”, e la legge conosciuta come “Leonetti” del 2005.

Lo spirito di tutti questi testi mette in evidenza come per il legislatore francese sia meglio rispettare la vita del paziente piuttosto che il suo desiderio di morire. La legge Leonetti, prima legge specifica sul fine vita, ha introdotto il divieto dell’ostinazione irragionevole (obstination déraisonnable, ossia dell’accanimento terapeutico). Proibendo l’ostinazione irragionevole, il legislatore non proibisce l’impegno dei medici nella tutela della vita dei pazienti, ma la loro ostinazione irrazionale o insensata. E la legge sostiene anche che ogni paziente ha diritto di ritenere che un trattamento possa essere per lui irragionevole e può rifiutarlo, anche se questo rifiuto può avere conseguenze vitali. Ha sempre e comunque diritto di beneficiare delle cure palliative. Sulla base di questa legge sono state redatte le direttive anticipate, che consentono al paziente di esprimere i propri desideri in termini di decisioni relative al fine vita nel caso in cui non possa più farlo da solo. Nel 2005 le direttive anticipate avevano soltanto valore informativo per il medico e non erano vincolanti per lui.



Occorre attendere il 2 febbraio 2016 per avere una nuova legge, detta Claeys-Leonetti che modifica quella del 2005 e crea nuovi diritti per i pazienti e le persone in fine vita: Loi relative aux droits des malades et à la fin de vie. La legge nuova presenta alcuni interessanti aspetti innovativi; prima di tutto non distingue più se la persona si trova o no in fine vita, cioè nella “fase avanzata o terminale di una malattia grave e incurabile”. Il caso Lambert ha confermato come si possano limitare o interrompere le cure anche in pazienti che non sono affatto in “fine vita, ma sono invece persone gravemente cerebrolese in stato vegetativo. La nuova legge inoltre considera vincolanti le disposizioni anticipate di trattamento e apre alla possibilità che il paziente richieda l’accesso a una sedazione profonda e continua fino alla morte. In teoria, la decisione medica non dovrebbe né ritardare né accelerare la morte. In pratica, il medico deve accettare la responsabilità sia della conseguenza diretta della sedazione, cioè l’incoscienza, sia della sua conseguenza indiretta, cioè la morte. Ovviamente l’accesso alla sedazione profonda è regolato da una serie di condizioni, per cui il paziente deve soffrire in modo insopportabile e la sua morte deve essere riconosciuta come inevitabile e imminente. L’uso della sedazione profonda e continua dovrà essere deciso dai medici nell’ambito di una procedura collegiale, che sostituisce la volontà del paziente. L’attribuzione del potere decisionale al corpo medico permetterebbe di superare i conflitti familiari quando i membri della famiglia siano divisi sui presunti desideri del paziente e quindi sul continuare o meno il trattamento. La legge esonera da responsabilità il medico che pone intenzionalmente fine alla vita di una persona su richiesta di quest’ultima. La norma inoltre stabilisce che gli atti medici “non devono essere eseguiti o continuati […] quando appaiono inutili, sproporzionati o quando non hanno altro effetto che il mantenimento artificiale della vita”. In questo modo il testo costituisce una vera e propria giustificazione dell’eutanasia sotto l’autorizzazione della legge.

In questo modo le cure palliative diventano un diritto necessario ma insufficiente. Un diritto debole, che in determinate circostanze è difficile esigere, mentre l’eutanasia rappresenta un obiettivo più facile da realizzare. Le cure palliative, in quanto atto medico volto ad alleviare il dolore, compresa la sofferenza mentale e sostenere il paziente e la sua famiglia, rappresentano un onere più costoso e difficile da mantenere nel tempo. D’altra parte, poiché il presidente Macron aveva mostrato interesse per il modello belga, occorre ricordare che quel modello autorizza la depenalizzazione dell’eutanasia, per cui questa pratica pur non essendo considerata un crimine, non è però un diritto del paziente e deve sottostare a una serie di vincoli. L’unico vero diritto che il malato può reclamare è quello alle cure e al rispetto della sua dignità.

In conclusione

È importante notare come per il legislatore francese, il compromesso giuridico in materia di fine vita consisteva, nel suo primo approccio, nella possibilità di offrire ai pazienti alcune alternative alla morte. Oggi questo compromesso sembra evolversi sotto la pressione dell’opinione pubblica e delle promesse elettorali del presidente Macron verso un crinale di tipo decisamente eutanasico, in cui il costo della vita del paziente, può non meritare l’impegno che comporta a livello familiare, sociale e economico-sanitario.

E’ quanto è già avvenuto anche in Italia e minaccia di far precipitare il nostro SSN nella stessa deriva eutanasica che si profila all’orizzonte della Francia. Si comincia con una norma compassionevole, scientificamente fondata con il No all’accanimento terapeutico, inutile causa di ulteriori sofferenze per il malato. Si passa poi alla valorizzazione della sua volontà individuale, il principio di autodeterminazione, che deve regolare tutti i nostri processi decisionali, anche per assecondare il vissuto di una libertà pienamente responsabile. E poi il terzo step è quello di anteporre il diritto alla morte al diritto alla Cura, lasciando il paziente solo, soprattutto quando la sua fragilità è percepita dal contesto come inutile sofferenza, che giustifica per tutti una morte anticipata, purché, questo si!, senza dolore….

Una china pericolosa, perché tutti noi corriamo il rischio di essere assorbiti da quella cultura dello scarto che ci schiaccia in un anonimato senza senso, in cui l’unica forma di rispetto è la liberazione dal dolore. Tutto si giustifica se il paziente è liberato dal dolore con l’estrema ratio della morte, in un paradosso denso di contraddizioni, che sta diventando una drammatica scelta a livello normativo ed istituzionale.