Gran parte del mondo cattolico italiano ha esultato alla notizia dell’approvazione delle leggi che restringono di molto la possibilità di abortire negli stati della Georgia e dell’Alabama. Se quella del primo stato sembra una decisione alquanto ponderata, fondata su un autentica concezione del diritto alla vita, quella dell’Alabama sembra invece solo estremamente punitiva. In entrambi gli stati si riduce la possibilità di abortire alla sesta settimana, quando cioè secondo recenti studi medici è già possibile avvertire il battito del cuore del feto, identificandolo in questo modo un essere umano vivente, e non un grumo di cellule come sempre sostenuto dagli abortisti. Ma la legge approvata dallo stato dell’Alabama si spinge fino a proibire l’aborto in caso di incesto (non consensuale, come se l’incesto consensuale fosse una bella cosa) e di stupro. In più condanna a vita i medici che aiutano a abortire andando contro quanto la nuova legge prevede. Evita in ogni modo, questa legge, la possibilità di prendere in considerazione caso per caso, perché sappiamo che ci sono sono sempre casi estremi che vanno considerati e non ammassati in un unico dispositivo legale. Ad esempio, durante la guerra nell’ex Jugoslavia, ci furono casi di suore stuprate e rimaste incinte, cosa che ha acceso un dibattito anche all’interno della Chiesa sull’eventualità di poter abortire. In ogni caso, molti sono gli stati, quelli a guida repubblicana ovviamente, che stanno varando leggi di restrizione della possibilità di abortire. Il vero scopo dietro a questa novità è il tentativo di portare a discussione presso la Corte suprema americana la legge stessa sull’aborto, approvata nel 1973 a livello nazionale.



PRO LIFE E PRO PENA DI MORTE

Anche perché già diverse di queste leggi a livello di singolo stato sono state dichiarate incostituzionali dalla stessa Corte. Si vuole farne un caso nazionale. Obbiettivo giusto, ma come sempre quando si parla di America bisogna tenere conto che si parla di una realtà unica, diversa ad esempio da qualunque paese cattolico. In America i cattolici sono una minoranza, da sempre osteggiata e combattuta dalla maggioranza protestante, la quale a sua volta è divisa in chiese di tutti i tipi, molte delle quali di un estremismo ideologico di destra inquietante. E’ significativo allora che il giorno dopo la firma dell’approvazione della legge sull’aborto in Alabama, nello stesso stato, sia stato giustiziato un condannato a morte. “E’ una contraddizione questa” ha detto al New York Times Hanna Cox, presidente del Conservatives Concerned About the Death Penalty, una associazione repubblicana contraria alla pena di morte “una situazione che rende povera e che abbatte il senso stesso della battaglia pro life”. La Cox dice anche che è in discussione in undici stati americani una legge per reintrodurre la pena di morte. Gli stessi stati che vogliono restringere la possibilità di abortire. E’ ovvio che, benché la governatrice dell’Alabama abbia detto che ogni vita è un dono di Dio, questo dono non viene giudicato allo stesso modo, ma secondo opportunità diverse. Se la vita va difesa sempre, dal concepimento alla morte naturale, è ovvio che non si può essere contro l’aborto e a favore della pena di morte contemporaneamente. E’ la settima persona giustiziata da quando la signora Ivey è diventata governatrice dello stato, nell’aprile 2017, cioè in due anni. Purtroppo le posizioni estremiste di molta parte del movimento pro life americano (picchetti davanti alle cliniche abortiste, anche uccisione di medici abortisti) non rendono la campagna contro l’aborto qualcosa di credibile, ma solo qualcosa di estremamente ideologico. C’è un lungo lavoro da fare evidentemente, ma in un paese dove la Costituzione garantisce come diritto inalienabile la libertà di possedere armi con le conseguenze che sappiamo, di totale disprezzo della vita altrui, le contraddizioni sembrano qualcosa destinato a non scomparire mai.

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